Eleonora Magon chiama Unadonnaalcontrario

Quando ho pensato per la prima volta a questa rubrica, ho provato a immaginare le persone che stavano al di là dello schermo.

Ero curiosa e mi piaceva l’idea di aprirmi a un mondo fino ad allora solo percepito ma tendenzialmente conosciuto.

Mai mi sarei immaginata quanto grande sarebbe stato il beneficio di fare entrare quelle persone nella mia vita virtuale.

Mai avrei immaginato le storie che avrebbero attraversato queste righe.

È il primo post che scrivo con la nuova veste di Unadonnaalcontrario, e sono felice di inaugurarlo così, perché l’email che mi è arrivata qualche giorno fa è davvero speciale.

Eccola qui.

La storia di Eleonora Magon

“Ciao, mi chiamo Eleonora Magon,

ti ho conosciuta tramite la mia ricerca di blogger per fare rete, per collaborare, perché credo che solo così si possa andare lontano.

Mi hai proposto tu questa bellissima occasione per presentarmi e per farti domande.

Inizio con il dirti che il nome del tuo blog è per me quasi autobiografico, mi ritrovo spesso alcontrario, a volte sottosopra, a volte fuori luogo, a volte fuori tempo!

Eleonora Magon

Di me c’è da dire tanto, mi sono reinventata come donna mille volte, un po’ per ambizioni personali ma spesso per batoste date dalla vita. L’ultima mia trasformazione è in corso da un mese quando ho scoperto di avere un tumore al seno. Sono mamma di due cuccioli voluti fortemente, moglie di un paziente marito, pittrice e blogger da pochissimo.

Di te conosco poco, ho iniziato a leggere i tuoi articoli e li trovo di un mix fondamentale per inchiodare i lettori fino alla fine, sono interessanti ed ironici.

Tu sei scrittrice vero?

Il blog è nato per cosa? E il nome come lo hai scelto?

Io sono affascinata dai viaggi ma per troppi motivi non ne ho fatti abbastanza, e forse mai li farò, qual è il tuo viaggio del cuore?

Per adesso io consigli non ne ho, ma posso solo dirti che essere alcontrario mi piace in me ma soprattutto negli altri, trovo ci sia una marcia in più, che sia anche solo affascinante sentirli raccontare le loro esperienze al contrario. L’ultima volta che mi sono sentita al contrario è stato poco più di un anno fa quando ho scelto di partorire in casa il mio secondo bimbo.

Grazie per avermi dato questo spazio.

Eleonora Magon

Grazie, Eleonora Magon

Innanzitutto dico a te, grazie, Eleonora per esserti aperta, anche su aspetti così intimi che riguardano non soltanto il tuo corpo di donna ma anche la tua parte interiore.

Anche io come te mi sento il più delle volte “sottosopra, fuori luogo, fuori tempo”.

Mi chiedi come ho scelto questo nome: alcontrario è come mi sono sentita da che ne ho un ricordo, quella diversa, quella che non è mai al posto giusto nel momento giusto. Insomma la famosa pecora nera.

Che poi io personalmente se vedo una pecora grigetta o nera in mezzo a un branco di pecore “bianco-sporco”, le trovo molto più carine.

Il blog è nato per arrivare a tutte quelle persone che, come noi, si sentono alcontrario, o meglio persone che altre persone fanno sentire alcontrario.

Noi, come dici tu, abbiamo una marcia in più e ce lo dobbiamo riconoscere, anche con un blog, condividendo le nostre esperienze.

Il libro

Non mi sento esattamente una scrittrice.

Sì, è vero, ho scritto un libro, un bimbo speciale per me, con una storia dentro che mi tocca dal profondo e, a quanto pare dalle recensioni, arriva anche al cuore di chi legge.

A Safari ho dato tutta me stessa e continuerò a farlo finché non arriverà nelle mani di tutte le persone che vorrebbero agire coraggiosamente in direzione della loro felicità ma non ci riescono ancora, forse perché hanno bisogno di una piccola spinta.

Ecco, Safari, spero sia quella spinta.

In alcuni casi lo è già stato, come quando una mia amica mi ha raccontato che sua mamma, una donna che non legge mai, ha letto Safari tutto d’un fiato e ha deciso di andare da sola in crociera: una donna grande che non ha mai viaggiato da sola e a cui non piace leggere.

Qualche volta i miracoli accadono.

I viaggi

A proposito di viaggi, mi chiedi qual è stato il mio viaggio del cuore. Posso dirti che amo andare spesso a New York perché lì mi sento a casa, ma ho amato follemente il Kenya e il Myanmar.

Viaggiare mi apre l’anima, mi fa sentire viva, mi fa letteralmente respirare.

E ti svelo un piccolo segreto: sto progettando proprio in questi giorni un viaggio importante per me. Ma per adesso è ancora top-secret.

Chiudo qui ma consentimi di dedicare a te e chi sta leggendo una poesia, una poesia che è parte del mio DNA.

Probabilmente, vista la meravigliosa vita che, nonostante le difficoltà, ti sei riuscita a creare, non ne avrai bisogno come me almeno una volta al giorno, ma voglio dedicartela perché credo che ognuna di noi sia legata da un filo impercettibile e perché credo che questo viaggio, ovunque tu desideri (in un luogo vicino, in un paese lontano o dentro di te), tu voglia farlo e io ti auguro di farlo.

Un abbraccio, come dice mia figlia, “grande come l’universo”.

Rotola i dati – Charles Bukowski

“Rotola i dadi.

Se vuoi provarci,

fallo fino in fondo.

Altrimenti non iniziare.

Se vuoi provarci,

fallo fino in fondo.

Ciò potrebbe significare

perdere ragazze, mogli,

parenti, lavori

e forse la tua mente.

Fallo fino in fondo.

Potrebbe significare

non mangiare per 3 o 4 giorni,

potrebbe significare

gelare in una panchina nel parco,

potrebbe voler dire prigione,

potrebbe voler dire derisione,

scherno, isolamento.

L’isolamento è il regalo.

Tutti gli altri sono

per te una prova della tua resistenza,

di quanto realmente desideri farlo.

E lo farai,

nonostante il rifiuto

e le peggiori avversità.

E sarà meglio di qualsiasi altra cosa

tu possa immaginare.

Se vuoi provarci,

fallo fino in fondo,

non ci sono altre sensazioni

come questa.

Sarai solo con gli dei

e le notti

arderanno tra le fiamme.

Fallo.

Fallo.

Fallo.

Fino in fondo.

Fino in fondo.

Guiderai la vita fino alla

risata perfetta.

È l’unico buon combattimento che c’è”.

Charles Bukowski

Gratitudine e condivisione: perché?

Alle presentazioni di “Safari” ho l’abitudine di iniziare ringraziando.

Sì, perché, di solito, i ringraziamenti si lasciano alla fine degli eventi, quando qualcuno si alza per andar via, o si è finito di ascoltare l’oratore e l’attenzione è un po’ calata.

A volte vengono fatti più per un senso del dovere, perché è “giusto” farli, o semplicemente “pro forma”.

Leggerezza, gratitudine e condivisione sono i capisaldi della mia vita, soprattutto negli ultimi anni.

Non che non lo siano stati precedentemente, ma in questa parte della mia esistenza hanno assunto un valore concreto, tangibile.

Di quello che penso sulla leggerezza ti ho già parlato in lungo e in largo. Oggi mi dedico alle altre due paroline magiche:

Presentazione Safari allo Stallo di Roma
La Presentazione di Safari allo Stallo, Roma

Gratitudine e condivisione

Per Gratitudine non intendo soltanto quella che provo per un aiuto, un complimento o qualsiasi altra cosa ricevuta dall’esterno.

Intendo la Gratitudine a prescindere. La Gratitudine in partenza.

La Gratitudine senza aspettarsi niente da nessuno. Intendo un atteggiamento della mente e del cuore, che non è assolutamente semplice e nemmeno scontato.

Per quanto mi riguarda è un vero e proprio allenamento.

Così come un atleta deve fare allenamenti quotidiani per rafforzare i propri muscoli, io mi alleno da anni a provare gratitudine a prescindere.

Ci sono giorni che non la sento affatto, giorni che mi sento la persona più sfigata della terra (hai presente la sindrome di calimero “piccolo e nero”), giorni che mi viene da dire: “Grata de che? Ma vaffa…”.

Li paragono a quei giorni in cui di fare gli addominali non mi va neanche se mi pagano (beh, dipende da quanto!), quei giorni che trovo ogni scusa possibile e immaginabile per fare un minimo di movimento: “Ho mal di testa”, “Mi sento fiacca”, “No, oggi, no, domani ne farò il doppio (seeee, quando mai?)”.

Insomma un vero e proprio intensive training.

Quando esercito la gratitudine, tutto cambia

Poi però ci sono quei giorni che mi sveglio e sono grata.

Grata apparentemente per nulla, per nulla di particolare.

Non ho un nuovo lavoro, Lui non mi ha portato dei fiori, la gnoma ha il solito broncio mattutino.

Eppure sento gratitudine, gratitudine e nient’altro.

Ecco perché sono sincera quando, come prima cosa, ringrazio chi mi ha offerto il suo locale per raccontare la storia di Lisa, persone che non mi hanno mai vista prima ma, alla mia richiesta telefonica o dal vivo, hanno detto sì senza indugiare.

Ecco perché ringrazio chi decide di leggere il mio blog o il mio libro, senza che ci sia alcuna pubblicità in radio o giornali, solo sulla fiducia, una fiducia anche questa “a prescindere”, visto che la maggior parte di queste persone non mi conosce personalmente, ma solamente attraverso il web.

Ecco perché mi viene spontaneo iniziare il racconto di Lisa con un “grazie” a chi lo ospita e a chi sta per ascoltarlo.

Ecco perché accade che Lui i fiori me li abbia portati oggi, dopo aver scritto queste parole (che Lui non ha letto) e senza che io mi aspettassi nulla.

E poi c’è quell’altra parolina magica:

gratitudine per la Presentazione Safari al Clivo, Roma
Safari e me al Clivo, Roma

Condivisione

Diciamo che nell’era di internet, questa parola è super-sdoganata.

Si condivide la qualunque, foto, pensieri, citazioni, viaggi, persino quante volte vai in bagno (forse in questi casi si potrebbe anche evitare).

Nel mio caso la Condivisione ha un significato personale.

Perché prima di tutto io sono una specie di orso. Mi piace la solitudine, faccio fatica a raccontarmi perché ho paura dell’esposizione, ho paura di essere ferita, del giudizio facile e spesso non voluto.

E allora tu ti chiederai: “Com’è che ti è venuto di aprire un blog?”.

A questa domanda non ho ancora una risposta chiara. Banalmente potrei dirti che l’ho fatto per Safari, per poter fare arrivare il messaggio di Lisa a più persone possibili e, per far questo, dovevo mostrarvi come scrivevo. Questa era la mia unica lettera di presentazione.

Ma, e qui viene il bello, non posso non dire che l’apertura di questo blog sia stato un gigantesco guadagno per la mia vita da orso.

Ho imparato che espormi non era del tutto deleterio, che dall’altra parte dello schermo c’era una marea di gentealcontrario come me, che potevo comunicare con loro. E anche la gente aldritto non era poi così male.

Ho imparato appunto il valore della condivisione.

Bilanci

In questi anni di Unadonnaalcontrario il bilancio è assolutamente positivo: ho conosciuto donne e uomini con cui condivido un modo di pensare, un modo di vivere.

Ho ritrovato vecchie amicizie che mai nella vita avrei pensato di riabbracciare.

Ho scoperto nuove realtà, nuovi modi di vivere il web e la realtà intorno a me.

Oggi non sono una persona abbastanza risolta, ho ancora qualcosina da sistemare, alcune proprio da iniziare, alcune da formulare, alcune da riprendere (cavoli, ho più di 40 anni e sembro un’adolescente in crisi esistenziale).

Ma mi sento un pezzettino più avanti di quanto non fossi un anno fa. Mi sento un pelino più completa e forse pronta per fare un altro pezzetto di strada alcontrario.

Se hai voglia di Condivisione anche tu, lasciami un messaggio qui sotto ché calimero-Noemi si sentirebbe meno sola.

La storia di Ilaria Cusano

Non lo nascondo: sono eccitata come al primo giorno di scuola!

Oggi inizia un nuovo viaggio, un viaggio alla scoperta di altre donnealcontrario, altre realtàalcontrario. E lo facciamo alla grande!

Innanzitutto te lo devo proprio dire, ho scoperto di avere un pubblico fichissimo, fatto di “gente fantastici“, come dice una canzone di Andrea Zalone.

E tra tutte/i coloro che mi hanno scritto, ho fatto una gran fatica a scegliere con chi cominciare.

Perciò grazie!

Grazie soprattutto perché da questa avventura la prima lezione che porto a casa è che non sono sola, non siamo sole, e più vado avanti, più mi convinco che le donnealcontrario sono proprio eccezionali.

E adesso basta chiacchiere …

Ti presento Ilaria Cusano che, non solo ha avuto il grandissimo coraggio di aprirsi con noi, ma essendo una life-coach, ci regala pure qualche dritta sulle nostre insicurezze.

La storia di Ilaria Cusano

Ilaria Cusano

“Ciao. Oggi ti racconto come mi sono innamorata di questo blog e perché ho deciso di offrire il mio contributo con questo articolo.

Dichiarazione bomba, ma non troppo – tutti quelli che mi conoscono lo sanno: io sono bisessuale, da sempre. 
Una bisessuale tranquilla, senza problemi né interiori, né familiari, né sociali al riguardo – grazie al cielo!

Che succede, però? Che questa condizione, che è anzitutto psico-fisica prima che sociale, mi porta ad avere un corpo, un sistema ormonale e una mente che funzionano in un modo un po’ diverso rispetto alla classica struttura “femminile” o “maschile”; sono una via di mezzo, banalmente.

Essere bisessuale è come essere gay: non è una scelta, è uno stato naturale; la scelta forse sta tra l’esprimerlo o il nasconderlo al mondo, ma la condizione di base resta quella, non cambia in funzione delle proprie scelte. Io, sin dall’adolescenza, ho preferito vivere la mia esistenza alla luce del sole, ho avuto e ho esperienze splendide, e sono felice.

Solo, rispetto a tutto ciò che è femminile e maschile, cosa significa essere donna, come integrare le mie caratteristiche personali e le convenzioni sociali, cos’è natura e cos’è cultura – su tutti questi temi, per forza di cose, devo avere una meditazione, una riflessione e una rielaborazione più lunghe, ampie e complesse degli altri, perché moltissimi aspetti che, per la stragrande maggioranza delle persone sono dei dati di fatto ovvi, per me non lo sono affatto.

Anch’io sono unadonnaalcontrario, e lo adoro!

Proprio pochi giorni fa, quindi, pensavo “Cavolo! Sono una donna, sì, ma una donna al contrario!”

… ed esattamente in quei giorni, tramite Twitter, mi è apparso davanti questo blog!

Anche tu ti saresti impressionata, no?

Per di più, c’era un invito a scrivere, a coinvolgersi, a offrire un contributo! Neanche a dirlo: per me era una chiara chiamata, a cui ho deciso di rispondere subito – ed eccomi qua.

Ho avuto sempre un rapporto particolare con la scrittura, molto intenso e viscerale: sin da quando ero una bambina scrivere mi veniva naturale, era un’estensione fluida e semplice del mio istinto a comunicare, a esprimere quello che ho dentro, a metterlo a disposizione degli altri con la curiosità di scoprire che succede, cosa nasce dai semi che pianto quando questi incontrano quelli degli altri. Così ho sempre scelto di assecondare la mia natura e scrivere.

Negli anni questo mi ha portata ad attraversare delle evoluzioni spontanee: per esempio, se durante l’infanzia mettevo nero su bianco per esprimere me stessa e vedermi, durante l’adolescenza lo facevo più che altro per riordinare le emozioni e le idee, da giovane per condividere e adesso per creare.

Oggi per me la scrittura è un’azione rituale, attraverso cui io letteralmente do forma a un mondo. Un mondo che mi piace, naturalmente, un mondo che mi sembra il migliore possibile, o quanto meno il più bello che sono in grado di immaginare.

Una donna libera

In questo momento storico così gravido e fecondo rispetto al rapporto tra identità maschile e identità femminile, il miglior mondo che io sono capace di immaginare e creare è questo: è un mondo in cui ogni donna si senta pienamente libera da ogni idea, preconcetto, pregiudizio e stereotipo su cosa significa essere una brava donna, figlia, amante, partner, moglie e madre, e in completo potere di essere soltanto Se Stessa. Idem per gli uomini.

Un mondo dove non è importante assecondare le aspettative altrui per realizzarsi, né tanto meno compiacere le fissazioni e le ossessioni di qualche individuo o gruppo in particolare, ma solo sviluppare appieno la propria natura e le facoltà e capacità più autentiche e preziose, per fare del bene a se stesse e alla società contemporaneamente.

Nel più bel mondo che immagino, nessuna donna ma neanche nessun uomo hanno paura di essere attaccati, ostacolati, oppressi o umiliati solo perché esprimono una sensibilità, dei valori e delle scelte disapprovate da qualcuno che, in buona sostanza, non è né migliore né peggiore.

Nel mio mondo meraviglioso, tutti i conflitti che oggi nelle relazioni e nella società distruggono, rovinano, demotivano e fanno del male, esisterebbero lo stesso ma come confronti: come dialoghi rispettosi, costruttivi e stimolanti tra percezioni e punti di vista differenti, che possono arricchire tanto chi li manifesta quanto chi li ascolta, sempre.

Felice festa della donna

In questa settimana così speciale per noi donne, e per tutti gli uomini che si rendono conto del valore del femminile, la mia benedizione è che ogni giorno, insieme, noi tutti possiamo creare una società nuova e migliore, con una sensibilità, un’apertura mentale e una concreta capacità che storicamente non abbiamo ancora mai dimostrato di avere: di vivere e lasciar vivere in pace, bellezza, curiosità e meraviglia così come siamo, semplicemente e innocentemente.

Felice festa delle donne, a chi cammina “dritto” e a chi, come noi, per qualche misteriosa ragione si è convinto di camminare alcontrario.

Ilaria Cusano


Io non posso che dire: grazie Ilaria!

Se come Ilaria Cusano, anche tu vuoi partecipare alla mia rubrica, scrivimi a unadonnaalcontrario(at)gmail.com. 

Fuck the Women Day: No alla festa della donna

Se sei debole di stomaco, cambia blog. Perché oggi non é aria.

Io non sopporto questo giorno, non l’8 Marzo in sé che tra l’altro è l’anniversario di nozze dei miei, una delle poche coppie che conosco, che non si sono ancora lasciate dopo 50 anni di matrimonio e che, ancora oggi, camminano mano nella mano, ma proprio il women day.

Io aborro la festa della donna

E lo so, forse non sei d’accordo. Va bene, ma questo è il blog di Unadonnaalcontrario che, nella vita di gente a cui non andava bene quello che diceva ne ha incontrate parecchie, e il mondo è bello perché è vario.

Già da quando ero un’adolescente non amavo questo giorno.

Figuriamoci quando di anni ne avevo 20 e le mie amiche andavano a vedere gli spogliarellisti col pacco in mostra.

Roba che poi, quando sono a casa con i loro uomini, criticano le loro uscite goliardiche. Che ipocrisia!

Non sopporto l’idea che ci sia un giorno in cui tutti i maschi si fanno belli e con le loro mimose sfigate prese di sfuggita al semaforo rosso, fanno gli auguri alle donne. Bleah!

Fuck the women day

Women day. Auguri de che?

Auguri de che?

Io non voglio gli auguri, non voglio le mimose.

Voglio la parità.

Voglio che lo stipendio delle donne sia equiparato a quello degli uomini.

Voglio che se io donna e tu uomo ci mettiamo un pantaloncino corto, tu uomo non sbavi pensando che l’abbia fatto per te, perché io donna di te non lo penso neanche di striscio.

Se festeggi l’8 Marzo allora devi festeggiare anche il 1° Dicembre, perché quella gran figa di Rosa Parks, con tutta la calma del mondo, si rifiutò di alzarsi da quel fottuto posto per bianchi.

Se festeggi l’8 Marzo devi festeggiare anche i giorni di Febbraio in cui 4037 coppie gay sfilarono al City Hall di San Francisco per rivendicare il loro diritto di sposarsi.

“È un libro per sole donne?”

Una cosa che mi urta parecchio è quando gli uomini mi dicono: “Il tuo è un libro per donne”. Sembra una cazzata, ma ti assicuro che non lo è.

1′- Perché gli uomini che l’hanno letto sono tra quelli che mi hanno dato più soddisfazione, che mi hanno scritto che sono riusciti a capire di più la loro donna, che Safari ha toccato una loro parte più femminile che fanno fatica a tirar fuori con gli altri.

Di questi uomini io ho fiducia e rispetto. Sono gli uomini che amo e che voglio facciano parte della mia vita e della vita di tutte le donne della terra. E ce ne sono tanti, per fortuna.

Ma quelli che mi dicono: “È da femmine”, mi fanno girare le scatoline interiori.

Io ho letto nella mia vita tanti libri scritti da uomini, ho chiesto consigli a tanti uomini.

Di mio, lo dico sempre anche in questo blog, sono molto maschile, ma non ho mai detto: “No, questo no. È da maschi”.

E il giorno che lo farò, ti prego, buttami un bicchiere di acqua gelata in faccia.

È davvero una cosa piccola, microscopica, infelice.

Io voglio festeggiare e festeggerò quando in questo paese non sarà uccisa una donna al giorno da chi diceva di amarla.

Festeggerò quando la maternità sarà equiparata alla paternità.

Festeggerò quando vedrò le persone libere di amarsi e di fare una famiglia senza un pirla che gli dice come, quando e se.

Festeggerò quando un uomo o una donna potranno essere liberi di scegliere se stare attaccati a una macchina che li tiene in vita oppure no.

È vero, questo post non ha i toni leggeri degli altri, ma qualche volta non riesco a trattenermi.

E questa è una di quelle.

Perciò Fuck the Women Day!


Sempre aperta al confronto, attendo i tuoi commenti.

Buona giornata felice, donne e uomini alcontrario.

Ammalarsi ai tempi delle mamme 2.0

La parola “ammalarsi” non è contemplata nel vocabolario della mamma 2.0.

Qualche giorno fa, la gnoma si era, per l’appunto, ammalata e io ero in piena crisi emotivo-organizzativa per la presentazione di Safari.

Dovevo arrivarci sana e salva, senza alcuna traccia di raffreddore o mal di gola.

Pensa all’autore che, con pathos e struggimento (ok, sto esagerando ma i poeti maledetti hanno sempre esercitato un certo fascino su di me), spiega la sua creatura tirando su col naso o strozzandosi per l’afonia.

Oh, my god, che tristezza!

Vai di training autogeno “Celapossofare, celapossofare, celapossofare”, vitamina C a gogò, echinacea e compagnia bella a combattere i suoi Etciù sparati direttamente sui miei orifizi facciali con la mira di un cecchino, abbracci moccicosi da mammahobisognodite e i tuoi tentativi di staccartene cercando di non compromettere il suo equilibrio psichico.

I microbi entrano nel corpo di Lui che dorme con la sottoscritta, il che comporta notti insonni pur di assumere costantemente posizioni opposte alle sue, con l’unico scopo di evitare contatti notturni indesiderati, e ti dici: “È tutto ok. Domenica è vicina e io sto bene”.

E lunedì?

Domenica va tutto alla grande ma lunedì…

(colonna sonora di Profondo Rosso in sottofondo)

…………………………………………………………………………………………………………

Lunedì il corpo cede inesorabilmente. Ti parla e ti dice: “Oh, bella! Mica sei super woman”.

E ti ritrovi con un gran bel casino da risolvere.

Ammalarsi in casa alcontrario

Ammalarsi? No, grazie!

Ti sei ammalata!

Questi sono i momenti in cui mi sento vicina alle Amiche di Fuso perché, pur non essendo expat, i 900 km di lontananza dalla famiglia rendono impossibile la telefonata: “Mamma, che hai da fare oggi? Avrei un certo bisogno di te”.

E va bene quel giorno (il primo) in cui ti senti stordita ma stai ancora in piedi; quel giorno (il secondo) in cui chiedi aiuto alla mamma dell’amichetta di turno perché ti prenda la gnoma da scuola; quel giorno (il terzo) in cui sei ottimista e ti ripeti: “Domani mi lavo i capelli”, e ne sono passati altri quattro; quei giorni che ti sembra passeggera e invece non passa più.

E poi arriva il giorno X (il quarto per la cronaca), quello stramaledetto giorno che non ce la fai neanche ad alzarti dal letto per fare pipì, che LUI è andato al lavoro e la gnoma è a scuola, che rimani stesa fino ad ora di pranzo ma poi, morta di fame, decidi che forse è meglio tentare di arrivare alla cucina.

Ammalarsi: l’umiliazione

Ti trascini lì con le movenze di un’anaconda, apri il frigo, poi la credenza, ti siedi mentre rimugini sul da farsi.

Ti dici: “Devo assolutamente mangiare qualcosa”, e alla fine, non hai altra scelta che ripiegare su di Lei, sì, lei, acquistata proprio per le emergenze, sigillata, nell’angolino dietro la farina:

la scatoletta di tonno!

Che poi si sa, è opinione dei più famosi nutrizionisti al mondo che la scatoletta di tonno sia digeribile come il brodino di pollo, quindi non ti lamentare se, dopo, passi il pomeriggio con un rigurgito perenne di olio in scatola.

Nel letto, da sola.

La depressione ti attanaglia e inizi a decantare l’ode vittimistica: “Sigh, però io ci sono sempre quando si ammalano quei due. Quando mi ammalo io, invece, non c’è nessuno che si occupi di meeeeee … sigh… sigh”.

Come da copione, lacrime a ripetizione e, in sottofondo, Celine Dion:

All by myself

Don’t wanna be

All by myself

Anymore”.

Cerchi di leggere un libro e dopo due pagine, ti convinci di essere dislessica. Provi a rispondere a qualche messaggio, ma il dito ti scivola giù in un nanosecondo. Alla fine ti accontenti di accendere la radio e dedicarti alla pratica spumeggiante dell’osservazione del soffitto. Yeah!

Lo specchio, no, su!

Quelle rare volte che (eppure lo sai che non è salutare) decidi di avvicinarti allo specchio, lui non può farcela e urla:

Viaaaaaa! Vai via, migra verso i lidi di trucco e parrucco. Solo allora potrai tornare da me”.

E con sguardo basso, torni, tapina, verso l’amato/odiato giaciglio.

C’è però quel momento in cui la gnoma ti mette una mano gelata sulla fronte bollente, tu le chiedi come mai le sue mani sono così fredde, e lei ti risponde: “Sono andata a lavarle con l’acqua fredda, così potevo rinfrescarti“.

Finalmente ammalarsi non è più un limite, non ti senti più sola e, motivata da tale gesto, ricominci a recitare il mantra:

#celapossofare

#celapossofare

#celapossofare