Fiducia, sì! Ma che vuol dire avere fiducia?

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Andiamo, confessiamolo.

Ce l’abbiamo tutti quell’amica/o a cui va tutto bene, qualunque ciambella le riesce con un buco che sembra il cerchio di Giotto, in qualunque impresa si butti ne esce vittoriosa, che in soldoni ha una gran fiducia in se stessa.

Io lo ammetto serenamente: ce l’ho e l’ammiro follemente, perché è una donna tosta, con una mente brillante, una che si fa il mazzo tutti i giorni e, tutto quello che ha ottenuto, se l’è meritato.

Per mia fortuna, è anche una delle mie più care amiche.

Ma devo confessare che qualche volta, ahimè… l’ho invidiata.

Perché diciamocelo, a noi campionesse di gaffes, a noi perennemente imperfette, a noi sognatrici croniche, piacerebbe almeno una volta nella vita che in una situazione, una sola per carità (ché vogliamo pretendere troppo?), ci venga tutto bene, tutto perfetto, magari anche un po’ facile che sembra sempre che dobbiamo scalare l’Everest… insomma tutto esattamente come l’avevamo sognato.

L’invidia è una brutta bestia, per fortuna non ne sono affetta di natura, ma quelle poche volte che l’ho provata era chiaro che non mi piaceva, che mi logorava, che invece di motivarmi, mi faceva stare male.

E soprattutto nei momenti di lucidità mi accorgevo che nascondeva qualcosa di molto profondo: la paura di non farcela, di non essere in grado, la paura che nel mondo ci fosse spazio solo per quelle come lei… una fiducia mal riposta nella vita.

Sakura in fiore al laghetto dell'Eur
Sakura in fiore al laghetto dell’Eur.

Fiducia nella nostra unicità

C’è una bellissima frase nel buddismo che dice: “Ogni cosa – il ciliegio, il susino, il pesco, il pruno selvatico – nella sua propria entità, senza subire alcun cambiamento, è eternamente dotato dei tre corpi del Budda”.*

Il ciliegio cresce e fiorisce come un ciliegio, così il susino, il pesco e qualunque altro frutto.

Nessuno somiglia all’altro, non nell’aspetto, non nel sapore, non nel colore, eppure ognuno di loro ha un gusto e proprietà uniche.

Ora so che tutte/i noi vorremmo essere dei bellissimi fiori di ciliegio, che nessuno ha mai organizzato dei tour per ammirare la fioritura del pruno selvatico come accade per i Sakura giapponesi.

Ma fermiamoci un attimo ad analizzare lo spinoso e bruttarello pruno selvatico: i suoi fiori odorano di miele (quelli di ciliegio no), è simbolo di indipendenza, e antiche credenze dicevano che i suoi rami intrecciati custodissero insieme il bene e il male.

Per parlare poi di dati scientifici, non c’è una parte di questo albero che non abbia proprietà benefiche: i fiori sono depurativi, i frutti sono astringenti e utili per il mal di gola, la corteccia è febbrifuga, le foglie sono anti-diabetiche e anti-asmatiche e la lista non finisce qui.

Insomma al ciliegio glie dà proprio ‘na pista.


Non esiste una natura unica, un unico modo di essere.

Esistiamo noi, persone, tutte diverse, ognuna con le sue caratteristiche, che nessun’altra ha.

E quello che mi vien da dire, proprio in quei momenti, quando penso che non c’è posto per me, che non c’è nessuna possibilità per me, è solo: abbi fiducia!

Dettaglio ciliegio articolo Fiducia Unadonnaalcontrario
Dettaglio di un Sakura. Non ho trovato pruni selvatici in città 😉

Perché è importante avere fiducia?

Fidati, fidati del tuo cuore, fidati di te stessa, delle tue convinzioni, di chi sei veramente.

In fondo non c’è altra possibilità che questa.

E a dirla proprio tutta, se mi guardo indietro e osservo la mia vita, quello che ho fatto e faccio oggi, nella sua totale assenza di perfezione, nella sua completa irrisolutezza, nella sua impermanenza, non farei a cambio con nessun’altra vita, nemmeno con quella della mia amica perfetta.

Non so perché ma sono convinta che anche per te sia lo stesso.

Sono cresciuta con le parole di Charles Bukowski, ammirato la vita di Frida Kahlo.

Nirvana sono stati la colonna sonora della mia adolescenza.

Di Manzoni ho preferito La storia della colonna infame ai Promessi sposi.

Ho amato musicisti senza un soldo, ho viaggiato con sete di conoscenza.

In questi ultimi dieci anni ho lavorato a due film con una squadra eccezionale, ho scritto un libro, aperto un blog, organizzato presentazioni ed eventi, imparato ad andare a cavallo, dipinto quadri, letto in lungo e in largo, imparato mille nuove cose, ascoltato persone simili e diverse da me, conosciuto realtà di ogni tipo.

E tutto questo sarebbe stato impossibile facendo una vita “regolare”, 8 h in ufficio, carriera classica, due settimane di ferie ad Agosto.

Non ho nulla contro la vita regolare, qualche volta l’ho anche desiderata, semplicemente ognuno ha la sua: regolare, irregolare, semplice, complicata, razionale, creativa.

Ed è proprio questa diversità che ci fa coesistere, che ci rende speciali.

Perché sebbene sembri una banalità, senza fiducia negli altri, senza fiducia nel futuro e nella poliedricità della vita stessa, pensa che noia sarebbe una vita con tutti esseri umani esattamente uguali a noi!

E tu che ne pensi?

 

*Raccolta insegnamenti orali, Nichiren Daishonin

La fiaba di Pinocchio spiegata al contrario

Copertina articolo Pinocchio

Oggi voglio raccontarti di come una storia che conosciamo tutti, vista con occhi diversi, può cambiarci certe prospettive e nascondere insegnamenti utilissimi per chi, come molte/i di noi, vuole approfondire alcuni aspetti della vita.

Sto parlando di Pinocchio, la fiaba italiana più conosciuta al mondo, scritta da un uomo che non amava gli adulti e che credeva, come del resto credo anch’io, che siano i bambini, i ragazzini i migliori depositari del vero sapere.

Il personaggio in questione è il Signor Collodi che, si dice, sia stato membro della Massoneria e, qualcuno bisbiglia (ma non dirlo a nessuno fuori da questo blog), fine conoscitore della Cabala o Kabbalah.

pinocchio
Pinocchio visto dagli occhi di mia figlia

Igor Sibaldi e Pinocchio

Si dice, e lo dice un altro personaggio molto interessante, ma anche questo resti tra noi, strana gente al contrario, tale Igor Sibaldi (di cui ti invito a leggere i libri e ad assistere alle conferenze), che ci siano delle analogie tra la storia di Pinocchio e quella di, pensa un po’… Gesù.

Se per caso credi che sia troppo per te, che tutto questo sia frutto di una mente malata ed eretica, ti consiglio di cambiare canale, ehm, sito, che il web è ricco di tante altre belle cosette.

Sei rimasta/o qui? Allora andiamo avanti…

Sibaldi parla della storia di Pinocchio come del racconto di una iniziazione.

La storia di un pezzo di legno che, attraversando ostacoli, incontri positivi e negativi (anche questi dipendono dai punti di vista), si incarnerà in un ragazzo.

La storia non finisce con una fine vera e propria ma continuerà nella vita dei lettori e delle lettrici… sempre che lo capiscano.

Ora non scriverò i dettagli delle analogie tra Pinocchio e Gesù (il padre di Gesù si chiama Giuseppe, il padre di Pinocchio G-ius-eppetto; fanno entrambi i falegnami; Pinocchio era un pezzo di legno, Gesù muore su un pezzo di legno, etc.), ma scriverò di come Collodi ribalta un punto di vista che noi, occidentali di cultura cristiana, abbiamo incancrenito nelle nostre vite.

Un Gesù felice

Tutte le volte che entro in una chiesa e vedo le immagini che raffigurano Gesù, sono immagini di lui in croce, lui che soffre, lui magrissimo, lui che si sacrifica.

Devi sapere che, sebbene io non sia cattolica, credo che Gesù sia stato uno dei personaggi migliori che abbiano varcato questo mondo.

Avanti anni luce rispetto agli uomini che c’erano non solo ai suoi tempi ma anche oggi.

E delle sue gesta, io mi ricordo solo momenti felici, sorridenti, perché lui, nonostante Giuda, Pilato e compagnia bella, era un uomo sereno e sorridente.

Questo mi piacerebbe vedere nelle chiese!

Mi piacerebbe che le chiese fossero piene di quadri dai colori allegri, che raffigurino Gesù mentre parla con la gente, mentre salva l’adultera dalla lapidazione, mentre “moltiplica” i pani e i pesci, mentre dice: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (quando Mangiafuoco chiede a Pinocchio se suo padre è ricco, il burattino risponde: “No”, e Mangiafuoco replica: “Bene”. L’iniziazione, il rinascere, perdere le certezze è gratis, non servono i soldi per queste cose).

Gesù muore e questa morte, che lo ammettiamo o no, è un messaggio inconscio che se tu sei il migliore, non lavori (perché Gesù non lavorava), ti occupi della felicità degli altri, ispiri e risvegli la gente, fai quello che sai fare meglio, offri le tue qualità migliori al mondo, insomma sei il più figo della terra, beh, se fai così, soffri, sei crocifisso, ti devi sacrificare, muori.

E giù con i sensi di colpa, con l’accontentarsi che è meglio, con il rimanere chiuso nella propria casetta, con i pregiudizi verso gli stranieri, ma soprattutto verso se stessi.

La vita di Pinocchio comincia quando muore

Pinocchio invece muore come legno e rinasce come essere umano*.

Lì comincia la sua vita, guarda quel pezzo di legno e dice: “Che buffo”.

Esattamente come diremmo noi se guardassimo il nostro io pieno di pregiudizi, di false illusioni, di credenze popolari. Se ci guardassimo per quello che siamo veramente, se fossimo dei Gesù, se, come dice Sibaldi, fossimo noi Cenerentole (dove le sorellastre rappresentano i sensi di colpa), dei prìncipi non sapremmo che farcene perché: “I principi li stendereste tutti”.

Ora io sono la prima ad ammettere che abbandonare tutte le credenze con cui siamo cresciute/i è difficile, che fare questo percorso con tutte le incombenze quotidiane sembra impossibile.

Ma sono altrettanto convinta che non siamo su questa terra per fare cose possibili.

Siamo su questa terra per ribaltare questo modo di pensare, per manifestare un potere che è il potere stesso dell’universo, quello della vita che crea e non distrugge (semmai trasforma), per andare oltre questi limiti che ci hanno inculcato nella testa ed essere noi per prime/i divine/i.

Non sarà facile? Pazienza!

Nella vita si fanno scelte di continuo e rispetto la scelta di rimanere nella propria situazione ma ad un’unica condizione: non lamentarti.

Perché io accetto la lamentela solo di chi vuole andare oltre, di chi fino all’ultimo respiro, lotta per essere felice, per affermare se stesso, per i valori in cui crede, di chi sa che al di là di tutto questo, c’è dell’altro e le vuole trovare.

Che poi chi fa così non si lamenta per niente.


*A chi obietterà sul fatto che anche Gesù risorge, dico, sì, Gesù risorge per salire poi nel regno dei cieli. Pinocchio rinasce come ragazzino per vivere la pienezza della sua vita in questa terra. E per me fa una bella differenza.

Lettera agli Uomini al contrario

Stadio olimpico-lettera uomini

Perché so che ci siete, lì, all’ascolto, uomini al contrario.

Perché so che forse quel “parità di genere” vi dà noia.

Perché non fate parte di quel genere di maschi che, se scrive una donna, per partito preso è un blog al “femminile” (che roba razzista e ancora mi fa inca**are che ci sia questo pregiudizio).

Non sto dicendo che siamo uguali in assoluto: fisicamente siamo diversi, nel sentire spesso siamo diversi, non cresciamo trattati allo stesso modo, non guadagniamo le stesse cifre.

Ma mi piace pensare che là fuori ci siano uomini che io considero uomini.

Tutti gli altri, per quanto mi riguarda, non lo sono.

Parità di genere stadio olimpico
Il GoldenGala d’atletica allo stadio Olimpico

Uomini imperfetti

Uomini come mio padre che è l’uomo più “pulito” che io abbia mai conosciuto. Badate bene, non perfetto che di difetti ne ha anche lui, e tanti.

Non è che mi abbia sempre protetto e qualche volta ho sofferto per i suoi comportamenti, come credo anche lui per i miei. Ma mio padre è un uomo onesto, sincero fino al midollo (qualità rarissima da trovare oggi).

Un uomo che quando hai bisogno, lui c’è, sempre e comunque.

Un uomo che ama la sua donna da una vita intera e non sarebbe capace di torcerle un capello non perché è una donna, visto che mio padre non uccide nemmeno le mosche tanto è convinto dell’importanza di ogni essere vivente in questa terra, della sacralità della vita stessa.

Per quanto non simpatizzi per l’ala politica della Meloni, ho trovato davvero indegna la polemica sulla sua impossibilità a fare il sindaco, visto che a breve partorirà.

Ora io voglio farvi una domanda: quando mai, in tanti anni di politica italiana e internazionale, avete sentito che, se un candidato di sesso maschile stava per avere un bambino, gli sia stato detto: «Ah, no, lui non può, sta per diventare papà, deve occuparsi del bambino»?

L’avete mai sentito? Io mai.

Parità di genere: uguali o diversi?

E allora vi faccio un’altra domanda: il ruolo di genitore è diverso da madre a padre? Diverso in cosa? Solo nel fatto che la madre allatta (quando può, tra l’altro)?

Le nottate non dovrebbero farle entrambi? I pannolini non dovrebbero cambiarli entrambi? Non dovrebbero entrambi trasmettere educazione e valori a quel bambino?

Perché se così non fosse, gli stessi che sostengono che i bambini devono avere un padre maschio e una madre femmina non potrebbero sostenerlo più, visto l’assenza giustificata dei padri che “devono” lavorare.

E guai a chi mette in discussione questa visione della vita perché il padre lavoratore è una specie di santo in terra. Ma la madre no.

«No, ma lui è bravo. E dai, pretendi troppo. Ti aiuta in casa e poi va a prendere i bambini a scuola il mercoledì», come se non fossero affar suo o lo fossero solo in quella occasione rara.

L’avete mai sentita questa frase declinata al femminile? Sentite un po’ come suona:

«No, ma lei è brava. La sera, pensa te, dopo aver lavorato, aver portato i bambini dopo scuola a sport, cucina pure. Ah, aspetta, dimenticavo che fa anche la spesa, le lavatrici, il tutto mentre controlla i compiti dei figli. È proprio brava».

Io non l’ho mai sentita. Si dà per scontato. È questa la verità.

Lasciamo perdere il femminismo

E qui il femminismo non c’entra niente, è solo una constatazione della realtà, pura, senza giri di parole. Una considerazione sulla parità di genere.

Quasi, quasi le donne di una volta stavano meglio di noi. Sì, perché loro, per essere definite donne di successo, facevano bene quello che avevano da fare, anche se voleva dire fare la donna di casa. Quando osservavo mia nonna, leggevo il rispetto che gli altri avevano per lei nel suo comportamento quotidiano, nei suoi gesti. Sentivo le storie di lei che badava alla famiglia e contemporaneamente lavorava e lavorava talmente bene che in tutta la città si era sparsa la sua fama.

Io quel rispetto non me lo sono ancora guadagnato.

Oggi per essere donne di successo, per avere quello stesso rispetto, una donna deve fare carriera, guadagnare almeno quanto un uomo (dico almeno perché tanto si sa che gli stipendi non sono equiparati), deve anche avere una relazione soddisfacente e dei figli perché altrimenti ha qualcosa che non va, poi magari ci deve mettere dentro un hobby, una passione, insomma una specie di hardisk dalla potenza illimitata, perché un umano non potrebbe reggere a tutto questo.

Che se poi tuo marito fa la spesa al supermercato con la lista che gli hai preparato tu, se malauguratamente hai dato per scontato che frutta e verdura fossero di default, lui torna senza aver preso una mela e ti dice: «Ma tu non l’hai scritto».

Siamo solo esseri umani

Non ne faccio una questione di uomo o donna, non io che sono cresciuta pensando di essere un maschio nel corpo di una femmina… non io che ho sempre pensato di voler mantenere la famiglia… non io che credo con tutta me stessa nella parità di genere, nel valore dell’essere umano, maschio o femmina che sia… non io che credo nella reincarnazione e che nelle vite passate e nelle prossime il mio sesso probabilmente è stato e sarà differente.

Ma sapete una cosa?

Finché aprirò una scheda elettorale e vedrò che tutti i candidati alla presidenza al mio municipio sono uomini… finché vedrò che l’uomo che vince i 100 mt è osannato come fosse dio in terra e la sua collega donna non se la caga nessuno… finché una bambina subirà l’infibulazione… finché ci sarà anche solo una donna uccisa dall’uomo che diceva di amarla, che quello non è amore ma smania di possesso… finché ci sarà un uomo che tenterà di zittire una donna perché cerca di avere il suo posto alla pari nella sua famiglia… allora io continuerò a parlare, continuerò a dire che No, non siamo uguali, non ci trattate alla pari, probabilmente noi stesse non ci trattiamo alla pari, ma ci stiamo lavorando da troppo tempo ed è ora che come noi ci mettiamo in discussione, lo facciate anche voi.

Adesso, io dico a voi, uomini alcontrario, in cui credo con ogni briciolo di me stessa:

Diffondetevi, contagiatevi, perché il mondo ha bisogno di voi.

Io ho bisogno di voi per andare avanti.

Favolesvelte di Valeria Bianchi Mian

Psicoterapeuta, alchimista, redattrice, raffinata conoscitrice dei tarocchi.

Scrive sul suo blog… “storie di uomini e donne persi nel caos delle identità, esseri umani che ritrovano se stessi tra le onde anomale di questo tempo. Utopie, distopie, realtà complesse”.

Ti sembra che l’idea di intervistare Valeria Bianchi Mian non mi solleticasse un po’?

Claro que sì.

E così l’ho fatto, l’ho fatto in occasione dell’uscita di Favolesvelte, il suo primo libro di filastrocche.

E non sono filastrocche solo per bambini, perché io mi sono appassionata nel leggerle e ho ritrovato dentro un mondo fatato quanto reale.

Adesso goditi l’intervista e la sua vera protagonista. Vedrai che personcina!

Valeria Bianchi Mian
Valeria Bianchi Mian. Photo by Chiara Liverani

Valeria Bianchi Mian e le sue Favolesvelte

1 – In un mondo che va sempre di corsa, dove ormai si pubblicano i riassunti dei grandi classici, dove non c’è tempo per fermarsi a riflettere… perché un libro di filastrocche?

Favolesvelte è un filastroccare rapido. Nomen omen. Il libro in realtà nasce come progetto successivo al blog. Nel web ho curato uno spazio di immagini e parole che è stato attivo dal 1 gennaio 2014 fino al 31 dicembre dello stesso anno. Nella notte di San Silvestro ho cancellato tutto, ma ormai avevo già il contatto con l’editore. Il blog come progetto quotidiano ha richiesto cura, come un bambino, un giardino, un arazzo da filare. Eppure il tutto si è svolto con una certa leggerezza: scrivevo sul tram, in treno, la sera prima di andare a dormire. C’è stato un momento in cui, dopo qualche mese di esercizio, le storie mi si presentavano in testa senza che potessi fermarle e allora dovevo afferrare una penna o l’IPad e scriverle così, al volo, ovunque mi trovassi. Direi che questo modus operandi seriale s’intona molto alla nostra contemporaneità, tutto sommato. Il risultato credo sia proprio un mondo di storielle ad hoc per questi tempi, appunto. Con un’ombra da scoprire, come una mappa del tesoro.

Essere s-precisi

2 – In Favolesvelte usi il termine “essere s-precisi”. Ci spieghi meglio cosa intendi?

Intanto dico che, come scrive Federico Sirianni nella prefazione al libro, puoi leggerle dappertutto le Favolesvelte ma, se possibile, fallo ad alta voce. Secondo lui, “se non vi pigliano per pazzi, funzionano meglio”. Partecipo spesso a reading poetici e, ultimamente, anche a Slam Poetry. La poesia-filstroccheria del caso nasce dal canticchiare versi tra me e me, prende spunto dalle conversazioni quotidiane, dal mio lavoro come psicoterapeuta e psicodrammatista, dalle memorie di dialoghi e confronti amorosi, bizzarri, assurdi. Nascono quindi velocemente e con un certo “suono”. La voce come accompagnamento alla scrittura.

C’è una parte del libro dedicata alle storie “nere”. Molte di queste scritture emergono da una reale esperienza con le ombre celate nell’animo umano. Agli inizi della mia professione ho fatto volontariato in carcere, ho lavorato con donne senza fissa dimora, prostitute, tossicodipendenti, immigrate. Di storie e di immagini ne ho scaffali sinaptici pieni zeppi. Basta attivare un neurone qua e uno là ed ecco, lo dico così con ironia, esce un mostrillo che vuole raccontare la sua storia. Anche questo livello, direi, ha a che fare con il poter riflettere profondamente senza fermarsi troppo, quando nel mondo di oggi tutto va estremamente veloce.

Se poi, attraverso le mie rime e le favole – più per adulti che per bambini – al lettore venisse voglia di rallentare il ritmo per un po’, direi che questo lettore ha trovato la chiave celata nella sveltezza, il lume nella leggerezza.

Non c’è ombra senza luce, fiamma nasce dalla nerezza; rapidamente andavo cucendo un elogio alla lentezza.

Le tre ere della vita

3 – Favolesvelte è diviso in tre parti, tre ere della vita: l’Amore, l’Evoluzione, la Morte. Io ho scelto una filastrocca per ognuna di esse. Ti va di rivelarmi la tua guida interiore (cosa ti ha spinto, motivato a scriverle, qual è stato il motore interno) per ognuna di esse?

Fanciulla drago da favolesvelte

Equilibrio e Pazzia: Per questa filastrocca i già citati “tempi contemporanei” sono stati di certo calderone e materiale trasformativo insieme. L’essere umano è un connubio di opposti – i quali possono raggiungere un accordo tra loro solo attraverso la coscienza, ma spesso e volentieri restano tali e ciò si vede molto bene nella nostra epoca dall’anima decisamente frammentata.

L’infanzia di mangiafuoco: Il personaggio di Mangiafuoco mi ha sempre affascinata; avevo voglia di fantasticare sulla sua infanzia, sui traumi possibili, sulla storia della sua vita. Avrà sofferto? Che tipo di avventure avrà vissuto? Ed ecco, ne è nata una filastrocca.

La ragazza drago: Questa storia nasce da un mio disegno, l’illustrazione che accompagna il testo. C’è questa fanciulla con le spine sulla schiena, u
n piccolo drago che abita il cuore di ogni regina. Se noi donne rifiutiamo di scendere a patti con questo aspetto “rettiliano” di noi stesse non possiamo che perdere il contatto con la natura dell’essere, con le profondità della psiche. La ragazza con la pelle di scaglie, istinto primordiale, ombrosa voce del principio femminile (la Lilith, la nerezza) va ascoltata e redenta attraverso la coscienza, pena la morte – sua e della nostra stessa anima. Nella fiaba che ho scritto, meno attenzione viene data alla piccola creatura, più gli aculei che lei porta sulla schiena crescono, mettendo a rischio la vita stessa della regina.

Non ti resta che leggere Favolesvelte

E adesso non ti resta che leggerlo, non ti resta che entrare nel magico mondo di Valeria, non ti resta che collegarti con la parte interiore, pura e incontaminata, e ricordarti il tuo essere bambina/o.

Non ti resta che fare un viaggio dentro te stessa/o con la leggerezza delle sue filastrocche.

E naturalmente se lo leggerai, fammi sapere che ne pensi: sono molto curiosa!