Mamme nel deserto: che scoperta!

Nella mia vita Mimma e Drusilla, le mamme nel deserto, sono arrivate un po’ per caso, come del resto molte delle cose migliori.

Le ho conosciute “virtualmente” perché ospiti di questo blog insieme alle altre Amichedifuso.

Sarà che sono una persona felice quando metto il piedino su un aereo, sarà che sono sempre alla ricerca di storie che mi incuriosiscano, sta di fatto che mi sono ritrovata a fare una chiacchierata tra il Wisconsis e il Kuwait, passando per l’Australia e la Thailandia. Quanto mi sono divertita!

Nei mesi successivi i loro blog erano tra i miei preferiti, ho letto alcuni dei libri da loro consigliati e, a un certo punto, ho deciso che era arrivato il momento di conoscere meglio un altro paese arabo.

Cerco di parlarne ogni tanto perché non amo i pregiudizi e, soprattutto, non mi piace fermarmi a quello che i media ci raccontano di questi paesi così lontani, non tanto fisicamente quanto culturalmente.

E anche in questo caso, sono le donne a raccontarmeli.

Sono le donne a spiegarmi bene il concetto di femminilità in quei luoghi.

Sono le donne ad amare quei posti e a valorizzarli, innanzitutto come una grande risorsa per sé (cosa alla quale io stessa faccio ancora fatica a credere).

Unadonnaalcontrario e Mamme nel deserto
Mamme nel deserto libro

Il libro di Mamme nel deserto

Ho letto “Mamme nel deserto: ma come ci siamo finite in Kuwait” con un bicchiere di vino in mano mentre mescolavo il risotto della cena (con una sola mano, certo! Siamo o non siamo multi-tasking?); sul divano con a fianco LUI che mi vedeva ridere a crepapelle e, due secondi dopo, commuovermi; sugli spalti del campo dove la gnoma si allena (lo dice lei) per diventare la prossima campionessa dei 100 mt.

Se prima c’eravamo incontrate per una cena virtuale, questa volta ero immersa nell’Hammam con Mimma e Drusilla. Soffrivo per le loro amicizie lontane. Ridevo delle gaffes di Mimma con l’inglese (le avrei fatte anch’io). Tifavo per ogni loro nuova iniziativa.

Perché la cosa che più ho amato di questo libro e, soprattutto, di queste due donne è stata la capacità, l’intenzione e poi la decisione di trasformare la loro condizione di donne expat per amore, in un’occasione per loro stesse. Di non essere passive, solo mogli e madri che accettano il trasferimento lavorativo del marito, ma di diventare parte attiva di questo cambiamento di vita. Di fare di questo paese sconosciuto la loro grande occasione.

Ché la fortuna se la sono creata da sole e, laddove non la vedevano, se la sono andata a cercare.

Non hanno mollato e, soprattutto, non sono “ripartite da zero” come spesso ci viene detto. Perché noi non siamo zero. Noi abbiamo un bagaglio, abbiamo lavorato, abbiamo fatto tante esperienze, sia lavorativamente sia umanamente.

Non si riparte da zero

Si riparte da quelle che siamo, qui e ora.

Sarà che anche io ho vissuto una vita milanese, tutta aperitivo, carriera e “se c’è un party, mi ci fiondo”.

Sarà che anche io sono passata dalla fase: non ho “il coraggio di spendere nulla perché quelli” non sono soldi miei, non guadagnati da me.

Sarà che anche io mi sono “sentita inferiore per aver mollato il lavoro”.

Sarà che anche io poi ho capito che quella “situazione è una manna dal cielo, perché hai il privilegio di goderti totalmente i tuoi figli ma anche perché ti fa rimanere attiva mentalmente, perché non c’è una routine e sta solo a te reinventarti ogni giorno”.

Perché da questo essere costretta a non lavorare è nato Safari. Da questo sentirmi economicamente dipendente ho costruito il rapporto che ho adesso con mia figlia. Da questo non sentirmi socialmente utile è nato il blog e tutto quello che è venuto di conseguenza.

Come dicono Mimma e Drusilla: “Ci piace pensare di essere riuscite a fare quello che cerchiamo di insegnare ai nostri figli: tutto può essere un’opportunità. Tutto si può trasformare. Basta volerlo”.

Non c’è solo quello che vediamo, quello che la realtà ci mostra oggi. Tutto è sempre in cambiamento.

Che tutto rimanga così è solo un’illusione della mente, a volte subdola e meschina. Ma quella stessa mente ci offre la possibilità di vedere nuove cose, aspirare a nuove realtà, darci la molla per attivare il cambiamento. E non ci serve altro. Solo noi stesse.

Se poi hai un’amica a fianco che ti sostiene, è pure meglio e più divertente.

Che ne dici?

Leggerezza parte seconda

Ti ricordi quando ti parlai di leggerezza? Calvino, il bicchiere tutto pieno, etc.?

Oh, ma quant’è difficile vivere così??

Ogni giorno è una lotta continua tra le tue meravigliose, leggerissime intenzioni e una quantità abnorme di rotture di maroni (sono stata abbastanza elegante?).

Insomma ti alzi dal letto, con un occhio mezzo chiuso e l’altro anche, diretta unicamente verso la macchinetta del caffè e sei già fortunata se ci arrivi senza un “Mamma, dove hai messo i calzini?” (che poi non si capisce perché dovrei saperlo io visto che non passo il tempo a spostarle i calzini dal cassetto).

Dopo la meritata dose di caffeina, lavaggio denti, trucco veloce, accompagnamento a scuola della prole, la tua mente si prepara alla giornata.

Fai una lista che sia ben organizzata tra cose da fare e cose che vuoi fare (vorrai mica dimenticarti di essere felice?!).

Allinei te stessa all’aurea della leggerezza con salto mortale di ironia, ma… ma…

… Iniziano i guai.

Tua suocera ti chiama per sapere perché ieri non hai risposto al telefono (ma io dico, se mi chiami nell’unico momento in cui riesco a farmi una doccia?).

La tua migliore amica è in preda a un momento di panico e che fai? Non la raggiungi e le organizzi una mega-fantastica mattinata per dimenticare il problema?

A tuo marito si è fermata la moto, tocca andarlo a recuperare…

E fu così che le belle intenzioni di leggerezza finirono nel pozzo nero del Vaffa…

Per non parlare delle notizione allegre di cui ci tempestano i media. Tu penserai, questa mi parla di leggerezza quando ci sono donne che si suicidano o vengono uccise ogni giorno… quando sono più le bombe che scoppiano che i fuochi d’artificio a Ferragosto… quando gli uomini perdono il lavoro come fossero capelli e non sanno più come far mangiare i loro figli.

Leggerezza parte seconda

Mannaggia ai buoni propositi!

So che non sono i normali imprevisti giornalieri, i motivi per abbandonare i grandi propositi di una vita migliore.

Ho in mente problemi più seri che fanno a pugni con intenzioni opposte.

In Agosto pensando al blog, alle cose su cui mi sarebbe piaciuto confrontarmi con te, sentivo calma piatta nel cervello. Nessuna idea.

E mi rendevo conto che la mente era occupata da altri pensieri. Cose che mi piacerebbe non dover affrontare ma che, guarda caso, devo proprio risolvere e anche al più presto.

In questi casi la mia tendenza sarebbe quella di prendere il primo aereo e volare via nel posto più lontano possibile dalla mia quotidianità.

Poi però mi accorgo che la verità sta da un’altra parte.

Mi accorgo che non si tratta di pensieri opposti.

Mi accorgo che posso scegliere di inglobare tutto insieme, di vivere tutti gli aspetti della mia vita, anche quelli “complicati”, che tanto anche quelli non mi abbandoneranno mai definitivamente.

Perché la vita degli esseri umani è fatta così, di cose belle e di cose brutte, di cose strepitose e di cose orribili.

Mi accorgo che posso prendere tutto e buttare quel tutto nel calderone della leggerezza.

E soprattutto mi accorgo che, quando faccio così, riesco a ribaltare una situazione tragica in un’occasione per scherzare e gioire della vita stessa.

Come si sta bene!

Il che non solo fa bene a quel momento, ma propaga il flusso di benessere nei giorni successivi, nelle persone intorno a me.

No, non mi è semplice, per niente.

Di base la prima cosa a cui penso è “Adesso divento una bestia”. Dalla pancia sento un forte bruciore che si propaga in tutto il corpo, fino alle orecchie, al naso, agli occhi.

È la rabbia che cerca di prendere il sopravvento.

Ma se supero quell’istante, se metto a bada quel bruciore e riesco a fare l’incredibile azione di lasciarmi scivolare addosso quelle parole, quella situazione, allora accade una magia, una magia di cui sono la protagonista, inconsapevole di tanta potenza dell’essere umano.

Ecco, parlo di questo, che dai problemi non è esente nessuno, ma accorgersi di avere questo potere cambia le cose.

Magari non riesci ad attivarlo subito, magari non tutte le volte, ma quando lo sperimenti anche solo una volta, te lo ricordi.

E la prossima volta che quel bruciore risorge da dentro, oltre a ricorrere a un Malox che non si sa mai, ti ricordi che puoi attingere a qualcosa di profondo che è in te, non da un’altra parte.

E che quel qualcosa ti permette di vivere il momento “ma perché proprio a me?”, con la consapevolezza che da quella roba complicata verrà fuori un’esperienza costruttiva, forse anche divertente.

Perché porci dei limiti?


Se vuoi leggere il mio primo articolo sulla leggerezza clicca su:

Quattro anni di te…

Dicono che siano le madri a insegnare ai figli a crescere. Ma di questo non sono così convinta.

Facile? No, come del resto non lo è per la madre che, dopo la fatica del parto, deve affrontare notti insonni e tempeste ormonali.

Io ho affrontato il tuo rifiuto che, per qualche giorno, sfiorava le corde del mio fidato pensiero: “Non sei nata per fare la mamma”.

Ero stanca ed emotivamente delicata per capire che era il tuo modo di mettermi alla prova.

Non ero pronta alla tua forza fisica, alla tua rabbia.

Nessun corso ti prepara a un esserino con un vissuto come il tuo.

I primi mesi era un costante lottare con quello che sentivo dentro e le interferenze esterne. Tutti erano grandi dispensatori di “Fai così”, “Prova questo”, “Si fa così”. Tutti, ci tengo a dirlo, mossi da affetto e dedizione.

E quel non capire come si possa scegliere di adottare prima di avere un figlio biologico…

Il perché io ce l’ho sempre avuto dentro ed era il mio desiderio di non farti sentire una “seconda scelta”.

Non mi è mai importato delle critiche, non mi è mai importato di chi ci avrebbe guardato pensando: “Non potevano avere figli loro”.

L’unica cosa di cui mi è sempre importato è che tu sapessi di essere stata voluta “indipendentemente” dalla possibilità di avere un figlio biologico.

Ancora oggi mi ricordo quel momento in cui ho pensato:

“Adesso decido io”.

quattro anni di te

I nostri primi 4 anni insieme

È stato come mettere un punto fermo.

Tu e io.

Fidarmi di quello che pensavo fosse giusto per noi. Tutto il resto via.

Da quel momento è cambiato il ritmo.

Tu hai smesso di mordere e calciare, io tornavo a respirare.

Da quel momento è iniziata la nostra storia di mamma e figlia.

Pochi giorni dopo la conferma. Eravamo in macchina, tu seduta sul seggiolo dietro, io al volante: «Mamma, ti voglio bene come il mare».

Poche parole, quel “Mamma” pronunciato dalla bimba che mi aveva dato del filo da torcere nei mesi precedenti, da una bimba che non era scontato mi scegliesse come madre, con quel mare che solo chi mi conosce nel profondo, sa quanto mi appartenga.

Quelle parole hanno dato fiducia alla mia decisione.

Era la strada giusta. Così è stato.

Da allora siamo diventate una squadra, indissolubile, forte e divertente.

Per te ho volutamente affrontato battaglie complicate. E le ho vinte.

Grazie a te ho conosciuto la mia forza, quella vera, quella che può stravolgere l’impossibile.

Sei tu che mi hai rivelato chi ero

Hai dato luce ai miei pensieri.

Hai risposto ai dubbi su me stessa.

Hai scrostato involucri di insicurezze.

Non sono mai stata, né lo sarò mai, una mamma tradizionale.

Adoro la tua indipendenza e la incoraggio. Sono innamorata della tua allegria e dell’importanza che dai al tuo essere femmina.

Mi hai insegnato tu com’è il pensiero femminile non sporcato da una società che mette i maschi sul piedistallo.

Non ho mai cercato di cambiarti e ogni giorno mi prometto di non farlo, perché non è affar semplice e il rischio di omologarti a me o a qualcun altro è altissimo. Ma ci provo.

Provo a seguirti, anziché spingerti a seguire me. Perché la strada dove mi porti è sempre più interessante di quella che conosco.

Quando mi dicono che deve essere stata dura, tutta quell’attesa, quella burocrazia, il paese, “certo, se fosse stata più piccola”… io non ricordo nulla di duro in quell’attendere. Forse quei primi mesi.

Il resto è stata solo una passeggiata primaverile in montagna, qui e là qualche salita impervia e un’immensità di fiori colorati.

Mi accompagnava una vocina che diceva che eri lì, da qualche parte, che eri il mio pezzo mancante ed era proprio così.

Con te sono completa.

Non è l’età, il sesso, il colore dei capelli ad avere importanza.

Non c’è un catalogo da cui scegliere se non quello della vita profonda.

– «Mamma, lo sai quanto ti ringrazierò da grande?»-

– «Perché, amore?»-

– «Perché sarai stata tutta la vita con me»-

Dovevi essere tu. Nessun altro/a.

Amarcord siciliano

Il Pc di mio padre sulle gambe. I piedi pittati che emergono aldilà dello schermo.

Mentre scrivo, sono ancora a Siracusa, nella casa al mare dei miei, seduta su un letto che sa ancora di estate, con la luce del sole che prorompe dalla finestra.

I giorni di vacanza sono agli sgoccioli.

Tra pochissimo si rientra nel tran tran quotidiano, veloce, senza pause, ritmato da impegni di ogni tipo: lavoro, casa, scuola e sport della gnoma, progetti per il futuro (questi ultimi, come sempre nella mia mente, innumerevoli).

Unadonnaalcontrario Arenella Siracusa
La mia caletta preferita

Ritmi serrati

Non che abbia avuto un’estate dal ritmo lento, tutt’altro.

Si pensa sempre che questo sia il momento dell’anno in cui si ha il tempo di riposare e, invece, tra mare, tour vari, serate fino a tardi, il mio bisogno di sonno è aumentato anziché diminuito.

Dispiaciuta? Direi proprio di no

Con la vita da orsi che facciamo da quando la pargola è entrata nella familyalcontrario, un po’ di vita mondana mi fa dimenticare l’età che avanza… parlò Zaratustra.

Poi, pian piano, gli amici sono partiti, le cene con quelli rimasti relegate ai fine settimana, e il tempo sembra tutt’a un tratto dilatarsi.

Si è come in un momento extratemporale in cui non arrivi ad annoiarti ma, abituata a fare mille cose, ti chiedi: “E mò, che si fa?”.

Un giro per la mia città

In preda a questo amarcord siciliano, ieri ho deciso di fare un giro diverso della mia città.

Sì, perché da quando vivo nel continente, ormai da parecchi anni, quando rientro a Siracusa city, la vivo un po’ da turista.

Passeggio per Ortigia ( la città vecchia, un vero bijoux per chi non la conoscesse).

Porto gli amici a visitare il Teatro Greco e immancabilmente l’orecchio di Dionisio (che è sempre un divertimento per grandi e bambini).

Mi occupo di scofanarmi tutto il repertorio culinario della mia città (dall’arancino di Midolo, al gelato della Voglia Matta, il pesce dell’Ancora e i manicaretti di Burgio al mercato: chiaramente ne sto citando solo alcuni).

Tendo a non mancare un giorno di mare (dalla mia preziosa caletta sotto casa, quella della copertina di Safari alle spiagge più belle della Sicilia orientale… anche se poi resto una fimmina di scogghiu).

Insomma a parte il momento in cui con la scusa di far piacere a mia figlia, andiamo in giro in bici, di Noemi bambina c’è poco o nulla.

Ieri invece sono andata in città, quella nuova, che a dire il vero non è proprio una bella città, succube di un’edilizia del passato che non si è armonizzata con la città antica.

Ma per me è bellissima perché piena di antichi ricordi.

Amarcord siciliano e vecchi ricordi

Ed è così che sono passata davanti alla mia vecchia scuola elementare che, incredibilmente, è ancora una scuola elementare…

È così che la putia (=bottega) dove mi facevo imbottire il panino per la merenda, non c’è più.

Ed è stata sostituita da un’agenzia di onoranze funebri, che a quella di certo il lavoro non mancherà mai…

È così che il grande magazzino è stato soppiantato da un enorme negozio cinese…

È così che il nostro bar (ditelo che anche tu avevi il tuo bar, quello della quotidiana frase: “Ci vediamo al bar”) è ancora lì.

E si chiama ancora nello stesso modo. Una specie di miracolo!

È rimasta intatta anche la cartoleria dove compravo il diario di scuola. Che momento speciale! Io e la mia migliore amica a decidere per ore quale di quei bellissimi e nuovi diari avrebbe accompagnato quel nostro nuovo anno, pieno di aspettative e grandi speranze. Che bel ricordo!

Del resto è rimasto davvero poco.

Persino i palazzi sono cambiati. Qualcuno è stato ristrutturato, qualcun altro non si vede più perché davanti gli è stato costruito un super-condominio-moderno.

Marina di Siracusa amarcord siciliano
La marina di Siracusa

Persino la gente è cambiata…

… o forse sono io che non mi sono adeguata all’epoca.

In qualche modo calzo ancora gli occhiali dal filtro anni ’90 e mi sembra strano vedere i ragazzini senza gli invicta e le camicie a scacchi.

I e le Special sono stati sostituiti dagli scooterini e dalle vespe moderne.

E quante creste sulle teste dei maschi… come detesto i parrucchieri dei calciatori per aver creato questa moda!


Ok, da Siracusa passo e… chiudo qui il momento amarcord siciliano.

In fondo oggi sono io che ricerco la 14enne nascosta nel corpo della donnaalcontrario.

Che poi in verità, a parte il fatto che, se ballo come facevo allora, mi blocco per due giorni, lo spirito è sempre quello lì.

Sono ancora piena di sogni e aspettative come dentro quella cartoleria a scegliere il diario nuovo.

E non vedo l’ora di cominciare l’anno che verrà.

Sì perché, anche se so che avrò qualche mese complicato (faccende private), ho in mente tanti di quegli obiettivi e nuove avventure da iniziare che la ragazzina che è in me scalpita.

E non vede l’ora di scoprire come si svilupperanno nella realtà.


Se vuoi saperne di più della mia città, leggi l’articolo Cosa vedere a Siracusa, terra di Archimede.