Intervista ad Andrea Girardi

Ho avuto l’occasione di “incontrare” virtualmente Andrea Girardi in rete e di scoprirne i suoi lati sfaccettati.

Prima di lasciarti alla sua intervista per poter far conoscere anche a te l’interessante persona che è Andrea Girardi, ti lascio una breve riflessione che mi ha fatto scaturire la chiacchierata con lui.


Le persone forti sono sole?

Lo chiedo a te che sei un’anima al contrario come me e che sicuramente, almeno una volta nella vita, ti sei sentita/o dire: “Ah, ma tu sei forte. Ce la fai”.

Non so a te ma a me questa frase, ascoltata infinite volte, dà la nausea.

Non è che perché siamo forti non siamo umani.

Non è che il forte non soffra, non pianga, non trovi ostacoli sulla sua strada.

Non è che il forte non abbia bisogno di sostegno, di affetto e magari qualche volta di una pacca sulla spalla.

E soprattutto ti è mai venuto in mente che, se si è forti, un motivo ci sarà?

La storia di Andrea Girardi

Oggi ti racconto una storia, una storia preziosa.

Una storia che riguarda un uomo abbastanza conosciuto in rete, Andrea Girardi.

Un uomo molto riservato, si potrebbe anche dire un po’ misterioso.

Uno di quelli che guardi con ammirazione, di cui leggi con attenzione le parole e che percepisci chiaramente come non costruito ma reale.

La sua è la storia di chi si è sentito dire molte volte: “La fai facile tu, sei fortunato. A te va tutto bene. Ci son cose che non puoi capire”. Un forte, per l’appunto. Ma come mi piace sempre sottolineare, innanzitutto un essere umano.

Una persona normale con i suoi fardelli sulle spalle.

Uno che, come quasi tutte/i noi, tante cose non le può capire. Tuttavia, come quasi tutte/i noi, ha avuto una dose sostanziosa di schiaffi dalla vita.

Quindi adesso mettiti comoda/o e sorseggia una storia che, sono certa, ti piacerà molto.

Andrea Girardi e la sua passione per le auto

Andrea Girardi: l’imprinting

“Avevo 5 anni. Ero un bambino timido e per niente avventuroso. Eppure… un po’ incosciente. Il giardino dei miei nonni era su due livelli, con una differenza di circa un metro. Un giorno decisi di prendere la rincorsa con la mia bicicletta e saltare quel dislivello alla massima velocità possibile. Studiai il posto migliore e, forte del fatto che ormai mi avevano tolto le rotelle, scelsi una zona con atterraggio abbastanza morbido, anche se avrei dovuto passare tra due paletti e sotto un’ asta di ferro poco più alta della bici.

Un successo! Fu la prima volta che riuscii a fare qualcosa che mi sembrava impossibile. La prima volta che scoprii di avere la forza di prendere delle decisioni che non pensavo di poter prendere perché troppo “audaci”. E di riuscire a tirar fuori la forza di affrontare quelle cose che oggi chiamiamo sfide.

Negli anni sono tornato lì con la mente. Ogni volta che mi sono trovato di fronte a qualcosa che aveva un forte impatto sulla mia vita o che mi spaventava o mi lasciava un senso di smarrimento, tornavo a quell’attimo prima di cominciare a pedalare con foga in direzione del mio salto.”

L’adolescenza di Andrea Girardi

“Di momenti nei quali mi sono trovato a dover tirar fuori quella forza, sempre senza sapere di averla, ne ho avuti parecchi. Da quando mi sono trovato a 17 anni a dover scegliere se continuare a fare il ragazzino o assumermi delle responsabilità. E la scelta fu improvvisa. Una telefonata mi comunicava che il mio papà non c’era più. Ero abituato a veder sparire le persone della mia famiglia. Nei dieci anni precedenti li persi quasi tutti, ma erano tutti molto “anziani” ai miei occhi di bambino e adolescente. Questa volta invece non lo concepivo. Non lo capivo. E fu tosta, tanto tosta.

Scontrarmi con il mondo degli adulti fu complicato anche perché, i primi con i quali ebbi a che fare, si aspettavano da me quello che avevano visto dagli altri membri della mia famiglia. Ma io non avevo né il carattere, né le competenze, né la maturità di nessuno di loro. Però avevo loro nella memoria e, si sa, si impara per imitazione. In qualche modo trovai la forza di fare. Dove? Non lo so, e so anche che non pensavo ce l’avrei fatta. Solo che non avevo alternative: dovevo farlo.

Tra le tante cose di quegli anni da giovane adulto, ci fu anche la voglia di misurarmi con le gare automobilistiche. Ma senza una guida, senza i soldi necessari e senza conoscenze nell’ambiente. E allora imparai a trovare sponsor, a fare trattative, a interfacciarmi con squali che dirigevano i reparti marketing di grandi aziende, oltre a pilotare (che guidare è un gradino sotto) e nuotare in quel mare di figure a volte poco serie del mondo dei motori.

Anni senza grandi risultati finché un giorno successe qualcosa di diverso: una sfida con i campioni veri in una manifestazione internazionale. E ricordo bene la sera prima, quando un amico di vecchia data mi chiese: “Ma domani?”. Ecco, lì scattò qualcosa che mi fece ritrovare audacia e forza e la mia risposta fu: “Domani vinco”. Vinsi e con un margine incredibile.”

Diventare grandi

“La forza ho dovuto trovarla quando, intorno ai 30 anni, seppi che sarei diventato padre (oh, ci si spaventa quando non si è preparati!). Ma soprattutto la forza ho dovuto trovarla quando, dopo l’ubriacatura di felicità che ne derivò, dovetti sentirmi dire: “Adesso non lo sei più”. Questo credo sia stato il momento in assoluto più difficile di tutta la mia vita. E non passa giorno in cui non rivolga un pensiero a quel bambino che non c’è più. Francamente non ho idea di come abbia fatto a non impazzire e  a superare la cosa, restando calmo e facendo da supporto alla mamma. Insomma a fare le spalle larghe alle quali appoggiarsi.

Ho dovuto “tirar fuori gli attributi” dieci anni dopo. Quella relazione era ormai insostenibile per entrambi e mi sono trovato costretto a chiuderla. A modo mio. Lasciando un’azienda che funzionava, fondi, contatti e abitazione, e accollandomi un mutuo su una proprietà che non sarebbe mai stata mia (mi scocciava che si potesse anche solo pensare “hai lasciato una persona nei problemi”). Insomma dovevo ricostruire tutto da zero e da solo. L’ho fatto ma ho pagato troppo lo sforzo psicofisico dei due anni successivi. E così mi sono trovato in un ospedale con alcuni problemi di vario genere e con un medico che mi diceva “… e poi risolto questo, dobbiamo procedere anche ad eliminare un tumore che non può aspettare”. Ok, era benigno, ma la forza di stare in piedi non credevo di averla.”

Una delle rare foto di Andrea Girardi

Andrea Girardi, oggi

“E sono ancora qui. Nel frattempo mi sono anche innamorato pazzamente di una donna meravigliosa. E di nuovo devo trovare la forza di costruire qualcosa di meglio di quanto abbia mai fatto, lavorando possibilmente molto meno di quanto abbia mai fatto e in modo molto più mirato.

Io non lo so se ho la forza di rimettermi in gioco un’altra volta, ma so che ci metto tutto quello che posso e anche un po’ di più.

Voi che dite, la trovo la forza che serve?”


Questa è la storia di Andrea Girardi (eh già, proprio lui) che ringrazio pubblicamente per avermi donato la possibilità di raccontarla, la sua storia.

Una storia che, come lui stesso dice, lo mette a nudo. E mostra tutte le sfide che ha dovuto affrontare, “che sono anche i momenti nei quali hai bisogno di quel qualcosa in più che non sai mai da dove viene. Sì, perché quando la sfida te la scegli, quando è un tuo obiettivo, allora è un conto.

Il difficile, invece, è quando la sfida arriva dalla vita e non la vorresti proprio affrontare.

Tu che ne dici? La trova la forza che gli serve?


Ti lascio qui di seguito il link al profilo linkedin di Andrea Girardi per approfondire il suo lavoro di HR Executive.

Solitudine: valore o difetto?

Solitudine? Ma no, Noemi!

È già dura avere a che fare con queste settimane di mal tempo e freddo e tu mi parli di solitudine? Please, don’t!

Tranquilla/o, non è uno di quei post strappalacrime con canzone triste al seguito.

Oggi voglio parlare sì, di solitudine, ma vorrei cercare di ampliare insieme a te la visione di questa “brutta” parola.

Un gabbiano non troppo solitario

La solitudine addosso

Alzi la mano chi non si è mai sentita/o sola/o!

Non credo che ci sia un’anima al contrario che non abbia anche avuto solo una percezione di solitudine in tutta la sua vita.

Ci siamo sentite sole quando al parco giochi tutti andavano allo scivolo e noi invece preferivamo un’avventura nel bosco vicino.

Ci siamo sentite sole quando la nostra amica del cuore ha preferito un’altra per le sue confidenze.

Ci siamo sentite sole quando il fidanzatino del momento ha deciso che era ora di fare nuove esperienze.

Ci siamo sentite sole quando siamo andate a vivere da sole, per l’appunto.

Ci siamo sentite sole quando, da neo mamme, ci siamo ritrovate in un corpo che non riconoscevamo.

Ci siamo sentite sole quando ci sbattevamo per realizzare qualcosa di grosso e gli altri ci guardavano scettici.

Un’illuminazione al contrario

Ok, adesso ti dico una cosa. Forse ti sembrerà strano ma io un bel giorno mi sono illuminata.

Niente levitazione o terzo occhio.

Ero tranquilla con in mano la mia tazza di Starbucks e, dentro, il tisanone zenzero e limone (che lo zenzero abbia anche proprietà allucinogene???).

Ho pensato, senti, senti, al SOLE.

Qualche volta la lingua italiana riserva belle sorprese.

Le stesse lettere: S-O-L-E

Il Sole è solo. Lui grande e grosso, unica stella madre con quegli otto pianetoni che gli girano intorno.

Da solo sopporta la grande responsabilità della vita.

È lui che permette alla Terra di vivere.

È lui che permette la nostra sopravvivenza.

Ma se ampliamo il nostro sguardo, se dalla Via Lattea ci spostiamo di qualche anno luce (parecchio, lo so, ma orsù, un po’ di immaginazione), troveremo altre galassie. E troveremo altri Soli, altri enormi fonti di energia che sembrano sole ma, come noi sappiamo bene, non lo sono.

Ora tu dirai: che c’entra con me sta roba del Sole?

O forse avrai pensato: Sì, lo zenzero ha effetti allucinogeni!

Solitudine al mare

Non siamo sole/i

Quello che sto cercando di dirti è che, se noi ci paragonassimo ai SOLI dell’universo, ci renderemmo conto che sole non siamo.

Magari l’altra persona sola è al di là della strada, nell’appartamento vicino, in quell’ufficio dalle grosse vetrate o forse a una latitudine distante dalla mia.

Ma per il solo fatto di sentirci sole, non lo siamo più.

Sei sola tu, tu e tu. Siamo già in tre.

Io vivo su questa terra da o40 anni e sola mi sono sentita milioni di volte.

Ma altre milioni di volte ho incrociato persone sole, perché non venivano accettate per quello che erano.

E ci siamo trovate. Mica gente sfigata, che fa la vittima e si lamenta. Naaaaa!

A dire il vero ho incontrato un sacco di personcine con una mente enorme, che sperimenta, che non si accontenta.

Persone che ricercano, che studiano, che vivono ogni giorno come se fosse l’ultimo.

Perché lo sanno che il loro tempo è limitato.

Persino il tempo del SOLE lo è, sebbene noi spesso non ci pensiamo.

Persone che vogliono usare quel tempo limitato al massimo.

E che, a un certo punto, se ne sono fatta una ragione se gli altri non le capiscono.

Perché la cosa più importante per chi si sente solo tra soli è sfruttare ogni secondo del proprio tempo per crescere, e realizzarsi, e gioire, e vedere, e conoscere, e vivere.

Se nella vita ti si è sentita sola/o, scrivimelo qui sotto in un commento: basta solo un “io”, così scopriremo insieme quante galassie illuminiamo.

Ti aspetto che altrimenti mi sentirei troppo sola.

Enjoy!

Un anno di Safari

Un anno esatto fa usciva Safari.

Non scrivo questo post per celebrarmi, sebbene qualche volta sia utile un po’ di auto-celebrazione, ma perché questa esperienza è la prova che ognuna/o di noi, dentro di sé, ha un potenziale illimitato.

Un potenziale che possiamo tirare fuori anche se non ci crediamo del tutto. E che, con quel potenziale, possiamo realizzare grandi cose.

Seguimi fino in fondo perché alla fine ti chiederò di…

Safari in spiaggia

Essere protagonisti

Se ci penso, mi sembra ancora più incredibile di quando tutto questo è cominciato. Una mattina di Settembre del 2013. Io davanti al mio Mac e la storia di un viaggio intorno al mondo.

Quel giorno mai avrei pensato che oggi 18 Novembre 2016 Lisa avrebbe viaggiato con centinaia di persone, persone a me sconosciute, persone che hanno riempito le mie email e questo blog di messaggi, di recensioni, di supporto.

Ed è proprio questo il grande guadagno del viaggio di Lisa, il guadagno che è arrivato a me: tutte le persone che ho conosciuto fisicamente e virtualmente da quel giorno di un anno fa.

La vita qualche volta fa degli strani scherzi. Una stylist che si mette a scrivere, e non scrive di moda o di costume, ma scrive di un viaggio.

Una donna insieme a una donna. Lisa e me.

Sì, perché è questo che è stato per noi: un confronto costante, quotidiano. Io alla mia scrivania, tra una lavatrice e i compiti della gnoma. Lisa col suo zaino in spalla da un paese all’altro.

Ma Lisa non è l’unica a cui devo tanto

Ci sei tu. Al di là dello schermo. Ci sono le tue recensioni.

Le blogger che hanno fatto piangere me che ho la scorza dura e fredda.

Le lettrici che mi hanno incoraggiata a sentirmi una scrittrice (“Chi, io? Ma dai!“).

I lettori, la vera sorpresa, uomini che hanno colto la grande opportunità del “maschile” in questo mio piccolo libro.

So che il percorso del suo messaggio è solo all’inizio. Che la sua strada è un po’ più lenta dei pubblicizzati best sellers nei banconi delle librerie. Ma non demordo.

Lisa è forte e io cerco di esserlo con lei. Andiamo avanti, passetto per passetto, grazie soprattutto a te.

Oggi festeggio il primo anno di Safari con una novità che mi riempie di gioia:

SAFARI è ora disponibile in lingua inglese:

E la persona che devo ringraziare di più è la mia traduttrice che è troppo modesta e non vuole essere citata, ma per me lei è stata l’ennesima scoperta di questo meraviglioso viaggio.


Qui torno al messaggio in calce all’articolo. E lo faccio perché (l’ho già detto, vero?) spinta da un’immensa gratitudine.

Oggi ti chiedo…

Un anno di Safari

Grazie!

E siccome questo blog è nato per darti la luce che meriti, voglio chiederti di raccontarmi come hai usato il vostro potenziale illimitato. In quale occasione e come è venuto fuori.

Perché è vero che ho vissuto questo tipo di esperienza ma è anche vero che me lo dimentico in fretta.

A te capita? A me spesso.

Magari faccio un bel percorso, raggiungo dei bei risultati ma poi non gli dò l’attenzione che meritano e torno alla mediocrità.

E niente mi fa paura più della mediocrità. Ahimè!

So che sei una persona incredibile, magari nascosta da altre più “ingombranti”, magari solo un po’ timida.

Ecco: io voglio darti la luce che meriti.

Non importa in che campo, non importa se è una cosa che ti ha dato notorietà o no.

Importa soltanto che abbia utilizzato il potere dentro di te Quella cosa che non ha niente di trascendentale o di mistico ma che esiste in ognuna/o di noi.

Tutto qua! “Seeeee”, sento dall’altra parte dello schermo.

In verità io sono sicura che se scruti dentro di te, ti ricorderai di quella volta che sei riuscita/o a parlare finalmente con qualcuno. Ti verrà in mente quella volta che hai fatto una cosa che non era da te e ti ha reso euforica/o. Ti tornerà alla memoria di quando hai fatto sorridere una persona con una storia molto triste e che nessuno era riuscito a farlo.

So che là fuori c’è questo potenziale, lo so per certo.

Lo ripeto: voglio darti la luce che meriti.

Scrivimi in un commento qui sotto o, se preferisci, in privato.

Non vedo l’ora di leggere la tua incredibile storia.

Festeggiamo insieme!

La storia di Lisa Bortolotti

Oggi nella mia rubrica ho un ospite davvero speciale.

Lei è Lisa Bortolotti.

Lunghi capelli rossi, piccola di statura come me e un carattere da far invidia a tanti Golia.

Di solito faccio una piccola premessa per presentare le mie ospiti. Questa volta ho deciso di non dirti nulla, se non: leggi fino in fondo. Non te ne pentirai!

Enjoy!

Lisa Bortolotti
Lisa Bortolotti

Lisa Bortolotti

“Mi sono sempre sentita al contrario sotto vari punti di vista. Per carattere ma anche per le tappe che hanno scandito la mia vita, che si sono concretizzate al di fuori dell’ordine precostituito da questa società. Niente che mi possa rendere più fiera di questo.

Forse oggi ho raggiunto la stessa linea temporale di qualunque altra donna. E sinceramente non so se tutto ciò mi faccia sentire al sicuro o decisamente terrorizzata della vaga possibilità di diventare “normale”. Perché io tanto normale proprio non voglio esserlo.

Stavo in auto con il mio fidanzatino, una vita fa, e mi lamentavo che se avessimo rispettato i tempi e le tappe previste da questa società, una famiglia l’avremmo costruita chissà quando e chissà in che modo: studiare, cercare lavoro, risparmiare denaro, costruire casa, matrimonio, figli, famiglia.

Al tempo quel traguardo, una famiglia mia, lo vedevo lontano anni luce rispetto a quel desiderio che, stranamente, si faceva urgente. L’urgenza del cambiamento, l’urgenza di non voler accettare le regole che altri mi stavano imponendo.

I desideri possono avverarsi

Un detto saggio dice che dobbiamo stare molto attenti a ciò che desideriamo perché potrebbe avverarsi. In quel momento non sapevo di aver attivato, con quel desiderio profondo e intenso, una serie di cambiamenti di portata travolgente per la mia vita.

Di lì a pochi mesi sono stata tuffata in un destino tutto alcontrario, saltando tappe, cambiandone altre, variando obiettivi e girando angoli imprevisti.

Oggi posso dire che tutto questo mi ha salvata da un destino arido e triste.

Le mie tappe tutte all’incontrario mi hanno fatto realizzare in pochi anni ciò che una donna fa durante l’arco di tutta una vita e con un ordine tutto strano.

Ero poco più che ventenne e sono rimasta incinta, mentre ancora frequentavo l’università.

Ricordo chiaramente il ginecologo che, vedendo due giovani al suo cospetto, fece la fatidica domanda “la gravidanza è o non è accettata?”, aspettandosi già la risposta, con quell’espressione sconsolata di chi odia dover intraprendere il percorso di un nuovo aborto. Ricordo di aver pensato “ma che caz.. di domande fa???” e penso di averlo guardato di conseguenza.

Diventare mamma

A 23 anni diventavo mamma, quando ormai in ospedale, di media, le neo mamme al primo figlio avevano la “veneranda” età dei 40 o quasi. Anche in questo ero in controtendenza, come al solito!

Ho imparato a far da mamma strada facendo. Anni dopo ho realizzato l’importanza di questo evento stravolgente: molte pensano che il Principe Azzurro debba essere un marito, ma per me è stato mio figlio che, arrivando, mi ha letteralmente “salvata e strappata” da un copione che odiavo e non volevo recitare.

A tre mesi dal parto ho cambiato casa vivendo un’esperienza unica e di grande accrescimento personale: 12 anni in una casa con altre 8 persone e 5 generazioni sotto lo stesso tetto. Se ne esce profondamente cambiati, con insegnamenti ed esperienze che oggi non si fanno più: pazienza, accoglienza, amore incondizionato, supporto, sorrisi, aiuto reciproco, accettazione. Dodici anni di vita comunitaria: oggi posso parlare di comunità e territori perché in primis l’ho sperimentato su me stessa.

Alcontrario anche i rapporti con i nonni. I miei nonni li ho goduti poco, stupida e inconsapevole adolescente, ma ho avuto il privilegio e l’opportunità di averne di adottivi molto più tardi: i nonni di mio marito sono diventati i miei nonni. Li ho chiamati fin da subito “nonno” e “nonna” e li ho amati immensamente, di quell’amore che non ha bisogno di legami di sangue per nascere e sbocciare. Ho ricevuto nuovi nonni a 23 anni e questo è stato un regalo di cui sono profondamente grata alla mia vita all’incontrario.

La famiglia di Lisa Bortolotti
Le 5 generazioni di Lisa Bortolotti

Mettere attenzione

Non ho aspettato molto dal mio cambio di casa ed è arrivato il matrimonio. Oh, se tornassi indietro metterei più attenzione a quei giorni così frenetici! Ricordo poco. Mio figlio era presente, piccolino e tirato di tutto punto: ancora oggi è un qualcosa di raro, nonostante tutta questa modernità che ci avvolge, avere i propri figli al matrimonio. Quando era ancora piccolino, lui, vedendo i filmini del matrimonio dei genitori di un suo compagno di classe chiese, con tutta l’ingenuità del caso: “ma il mio amico dov’è??”. Ecco, i nostri figli imparano cosa sia “normale” da noi e dall’ambiente che costruiamo loro attorno. Abbiamo questa grande responsabilità.

Ero ancora in fase di apprendimento per le qualità tipicamente materne (che sinceramente non pensavo di avere) che ho dovuto cercare lavoro. Stavo studiando ancora all’università e non avevo molto tempo per preparare quel concorso e sapevo di doverne sostenere molti altri prima di vincerne, forse, uno. Quello era il lavoro perfetto solo per la gioia di papà, ma avevo anche bisogno di lavorare e ho gareggiato. Vinsi.

Il posto fisso

Il primo marzo 2001 iniziavo a lavorare al “posto fisso”. Mio figlio avrebbe compiuto di lì a poco 2 anni. Per mio padre un sogno, per me una gabbia buia e triste: io animo libero e ribelle incastrata nella pubblica amministrazione per necessità.

Lavoravo da pendolare, facevo la mamma e studiavo al pomeriggio. Di quei giorni ricordo solo la fatica e la frustrazione di star poco con il mio bambino. Di lì a un anno mi sono finalmente laureata e per questo devo ringraziare mio marito che mi ha spronata a non mollare mai. Di solito, quando ci si laurea, al massimo hai un fidanzato. Io avevo i suoceri.

Tutto a rovescio.

In questo racconto manca solo la casa, che stavamo costruendo da zero e non ho la più pallida idea di come ci siamo riusciti, tra mancanza di denaro e mezze fregature. Abbiamo imparato molto. Nel 2012, finalmente, ci trasferiamo nella casa nuova, con due figli e non ci facciamo mancare neppure il gatto.

E poi? E poi le tappe sono finite.

Vuoto?

Avevo questa idea vaga che avendo figli grandi quando sarei stata ancora giovane avrei potuto dedicarmi a qualche hobby o nuovo interesse. Sinceramente avevo immaginato di viaggiare, ma il sacro fuoco per il travel, la valigia e l’ignoto ancora non mi è venuto per nulla e continuo a preferire tisana e copertina.

Mentre la mia secondogenita era poco più che in fasce mi sono avvicinata ai temi dell’economia e del monetarismo, soprattutto nelle forme che riguardano la sovranità monetaria e, in seguito, della progettualità territoriale e comunitaria. Ancora una volta una scelta in controtendenza, in un ambiente tutto al maschile e tutt’altro che accogliente e trasparente. Ho combattuto le mie battaglie, a volte contro persone poco oneste. Altre volte con me stessa e i miei limiti, che ho imparato a superare. Ho accumulato esperienza, quella che di solito si fa prima di costruire una famiglia. Di nuovo arrivo dopo, in fretta, ma con tanto slancio e qualche strumento in più che “l’età che avanza” ti mette a disposizione.

No, il club dell’uncinetto proprio non faceva per me

La normalità proprio non fa per me e mi sono messa in testa di costruire qualcosa di mio, che mi dia soddisfazione, che possa unire le mie qualità e talenti personali con l’idea, forse malsana, di far qualcosa di buono per il mondo. Sarebbe un ottimo esempio per i miei figli, che sono abbastanza grandi per comprendere una delle lezioni più importanti nella vita: ‘segui i tuoi sogni’.

Mentre inizio a costruire tutti i sogni che voglio immaginare, sono certa di una cosa: che il modo in cui realizzerò i miei nuovi sogni sarà tutto alcontrario!

Ho ancora una vita intera per stravolgere di nuovo tutte le tappe che mi aspettano. Ma questa volta non solo cambierò l’ordine degli addendi. Deciderò io anche quale direzione prendere!

Ode ai nuovi inizi, purché comincino in disordine!”


Ringrazio Lisa Bortolotti per la sua bellissima storia.

Se anche tu vuoi essere protagonista della mia rubrica, clicca su Unadonnaalcontrariochiamagentealcontrario e scopri com’è facile partecipare.

Una passione chiamata Guerre Stellari

La riconosco la passione vera, quella che emerge dagli occhi di chi mi sta parlando. Quella che fuoriesce da ogni poro della persona a cui pulsa dentro.

E di solito mi rapisce… con tutto il corpo e la mente.

La scorsa settimana ho avuto l’opportunità di vedere in anteprima la mostra Guerre Stellari – Play.

E quella passione l’ho vista, si poteva palpare nell’aria.

Guerre stellari la mostra

La passione negli occhi

Era negli occhi, nei gesti e nelle parole di Fabrizio Modina, curatore della mostra, ma soprattutto proprietario di quasi tutti gli oggetti in mostra, suoi bambini da quando lui stesso era un bambino.

«In definitiva non ho mai smesso di giocare» e già questa frase mi ha conquistata. Come il fatto che da questa passione si sia creato una professione. Alla faccia di chi dice che non può accadere. Perché, diciamocelo, che mestiere è lo «studioso di mitologia moderna (parole sue)»? Non lo troverete in nessun data base per la carta d’identità del comune. In verità non trovano neanche il mio.

Un lavoro a cui difficilmente si può dar credito e, invece, in questo blog si sponsorizzano i desideri più grandi e si tifa per tutti quelli che lottano per realizzarli.

Qui mi aggancio a chi Guerre Stellari l’ha creato: George Lucas.

Gli ostacoli di Guerre Stellari

Sai che la produzione di A New Hope (il primo film della serie – 1977) è stata costellata da incidenti, problemi tecnici, temporali mai visti prima? Sai che Lucas a causa del forte stress ebbe un infarto? Sai che fu deriso perché l’aspetto divertente di Guerre Stellari non fu capito e le Majors non gli diedero credibilità come per altri film di “fantascienza”?

Cosa? Ti ricorda qualcuno?

A me ricorda numerosi personaggi della storia, antica e moderna, che hanno rivelato al mondo pensieri compresi solo dopo anni, secoli a volte. Grandi intuizioni utili ancora oggi all’umanità.

Penso a Galileo Galilei, penso a Giordano Bruno, penso a Vincent van Gogh, penso allo stesso Steve Jobs.

Ma mi ricorda anche tante persone, meno famose, che incontro nella mia strada da quando sono nata. Persone che lottano instancabilmente per quello che sentono dentro, per la loro innata passione. Non importa in cosa. Una passione che le guida al di là della gente intorno a sé, al di là delle circostanze… al di là degli ostacoli.

Yoda alla mostra guerre stellari

Un successo vestito da fallimento

La prossima volta che penserai che il tuo sogno sia soltanto un sogno, ricordati di George Lucas e che Guerre Stellari era considerato un fallimento in partenza.

George Lucas ebbe la genialità di pensare, per la prima volta nella storia del cinema, a creare dai suoi personaggi giocattoli da vendere al pubblico. E grazie a questi “giocattoli” riuscì a finanziarsi L’impero colpisce ancora (1980), il secondo film della saga, rendendosi indipendente dalle Majors americane una volta per tutte.

Beh, un bello sgambetto, non ti pare?

C’è da dire che provo una certa simpatia per le influenze culturali di cui Lucas e la sua saga sono intrisi: dal punk di Vivienne Westwood, alle filosofie orientali, in particolar modo quelle giapponesi. E credo che questo tipo di cultura si percepisca nella sua opera.

Modina ha spiegato che non è uno di quei collezionisti che lasciano i loro gioielli dentro le teche, senza mai mostrarli in giro. «Colleziono per condividere» ha detto.

E io non posso che ringraziarlo per aver condiviso con me, con noi tutte/i un pezzo di vita, un lungo percorso alla ricerca di pezzi speciali.


Se ti interessa l’argomento mostre, leggi anche il mio articolo sempre aggiornato sulle: Mostre a Roma.