Intolleranza al lattosio

Un uomo saggio una volta mi disse: “Il corpo è una macchina perfetta. Ma se lo rompi, aggiustarlo è quasi impossibile”.

Quell’uomo saggio era mio padre e io, all’epoca, ero una ragazzina, appena uscita dall’anoressia, che non digeriva un bel niente.

Per anni il corpo non mi ha consentito il momento sociale della cena. Qualunque cosa ingurgitassi, era una nottataccia annunciata.

Poi finalmente ho incontrato una dottoressa che, unendo alla terapia nutrizionale, l’uso dello shiatsu e della riflessologia, mi ha aiutata a ricominciare da dove avevo lasciato.

Me la ricordo ancora quella prima cena a base di una lauta mela. Mi sembrava come se avessi mangiato un bisonte intero. E poi, pian, piano son tornata alla vita sociale.

Oggi sono una persona normale che mangia tre pasti al giorno.

Ho imparato ad ascoltare il corpo. Quel corpo che per molti anni avevo trascurato.

Perciò se il corpo mi dice “Basta”, tendo ad assecondarlo, a parte in alcune occasioni naturalmente. Mica sono una santa… eheh!

Intolleranza al lattosio e lactojoy

Intolleranza al lattosio come riconoscerla

Una delle cose che mi porto dietro è una leggera intolleranza al lattosio.

Del resto sembro essere in buona compagnia.

Le statistiche dicono che in Italia il 50% della popolazione è intollerante al lattosio.

E tra l’altro ho scoperto una curiosità: l’intolleranza al latte e al lattosio ha un legame forte anche con l’etnia.

Più a Sud del mondo andiamo, più la percentuale degli intolleranti aumenta.

Sintomi dell’intolleranza al lattosio

Come si fa a capire se si è intolleranti al lattosio?

I sintomi più comuni dell’intolleranza al lattosio sono crampi addominali, pesantezza di stomaco, pancia gonfia, mal di testa, stitichezza o diarrea e, purtroppo, qualche sintomo imbarazzante come la flatulenza e il meteorismo.

Ci sono anche dei sintomi meno conosciuti che si manifestano sulla pelle come dermatiti, eczemi e arrossamenti più o meno gravi.

Intolleranza al lattosio cosa mangiare

Ho smesso di bere latte da tempo ma, se c’è una cosa a cui non riesco proprio a rinunciare, sono i formaggi e non quelli senza lattosio.

In verità non tutti hanno il lattosio. Per esempio il parmigiano, per via della sua lunga stagionatura, non contiene lattosio.

Ma quasi tutti i formaggi freschi come la mozzarella e la ricotta, di cui vado pazza, sì.

Tra l’altro il mio omeopata mi ha sempre detto che escludere totalmente il lattosio non è una buona idea perché il lattosio è fonte di calcio, necessario per prevenire l’osteoporosi che ormai ho una certa e ci devo stare attenta.

Un integratore per l’intolleranza al lattosio

*In collaborazione con Lactojoy

In questo periodo ho scoperto una realtà giovane, che sapete mi piacciono tanto, e che ha brevettato un integratore proprio per l’intolleranza al lattosio. Si chiama LACTOJOY, che già il nome mi mette di buon umore.

LACTOJOY si prende solo prima di consumare pasti dove c’è lattosio, quindi non è una roba di cui diventi dipendente.

La scatolina è molto comoda da mettere in borsetta e da portare anche fuori a cena o nei pranzi di lavoro. E tra l’altro è così carina che mia figlia, una volta finite le compresse, me la ruba per metterci le sue cosine preziose, gioielli di carta metallica di solito.

Lactojoy packaging

Cosa fa LACTOJOY?

LACTJOY fornisce l’enzima lattasi necessario per digerire il lattosio che nelle persone intolleranti è parzialmente o totalmente assente.

E tra l’altro non bisogna usarlo per settimane per vedere i risultati. Lo noti subito al primo pasto. Personalmente io mi gonfiavo tantissimo dopo aver mangiato burrata o mozzarella, rovinandomi la goduria che provo quando mi dedico a questo cibo degli dei. Invece con LACTOJOY mi sento a posto.

Ehi, non ho scritto che ne puoi mangiare in infinite quantità!

Anche perché così farebbe male a chiunque, persino a chi ha lo stomaco di ferro.

E soprattutto, come per tutti gli integratori, please, parlane con il tuo medico.

Io penso sempre che nessuno, dopo di te, conosca il tuo corpo come chi ti segue da tempo, soprattutto se è una persona di cui hai fiducia.

PS. Ringrazio tutte le persone che su Instagram stories mi hanno raccontano la loro esperienza sull’intolleranza al lattosio. Questo articolo è stato realizzato grazie anche al loro preziosissimo aiuto. Grazie di cuore!

Marco Frattini: un uomo in corsa

Sono sensibile alla brezza del cambiamento.

Se poi ascolto una storia che ribalta le difficoltà in benzina reinventando una vita, ne vengo attratta come una calamita irresistibile.

Questo non perché sia una mitomane ma perché credo profondamente nel valore dell’essere umano e nella sua capacità di trasformare le difficoltà in grandi occasioni, sperimentando qualità che non pensiamo di avere.

E invece le abbiamo.

Perciò prenditi qualche minuto del tuo tempo per leggere questa storia, soprattutto se sei in un momento in cui pensi di non farcela.

Io mi ci ritrovo spesso e per questo cerco di condividere il più possibile esperienze che possano spingerci ad andare avanti laddove pensiamo di non riuscire a proseguire.

Marco Frattini: un uomo che prosegue ogni giorno

Marco Frattini è odontoiatra e musicista.

A trent’anni, improvvisamente, perde l’udito in maniera definitiva e soprattutto ancora oggi “non spiegata”: “Non si è mai preparati abbastanza, soprattutto quando ci si pone in un’ottica di disfacimento”.

Marco si ritrova nel silenzio. Assoluto.

Un amico gli lancia una sfida: “Scommetto che non sei in grado di correre una maratona”.

E Marco decide di raccogliere la sfida.

Da quel momento Marco Frattini non si ferma più.

Tre volte campione italiano di maratona (2010/11/12) e tre volte campione italiano di cross (2009/10/11).

Realizza il primo social network e un’app CiaoRunner dedicata al mondo della corsa.

Fonda Iovedodicorsa, un brand di abbigliamento per i runner.

Scrive non uno ma due libri «Vedere di corsa e sentirci ancora meno» nel 2010 e «Il mio comandamento» nel 2014.

Collabora con Daniele Gambino, pianista, musicologo e compositore, ipoudente dalla nascita.

What else?

Ti lascio all’intervista che Marco Frattini ha deciso di regalarci e di questo lo ringrazio enormemente, perché sono assolutamente convinta che le sue parole ti arriveranno dritte, dritte al cuore, come è successo con me.

Enjoy!

Marco Frattini

Intervista a Marco Frattini

N:      So che sembrerà banale ma sono certa che, in fondo, intuirai che non lo è poi così tanto: perché lo sport?

M:    Perché prima non ci avevo mai pensato, poi scopri che lo sport può essere una scuola di vita. Non è detto che ciò che si da per scontato sia effettivamente chiaro. Io, a scuola non ho mai capito fino in fondo perché ci dovessi andare. Con lo sport, invece, alcuni concetti e insegnamenti mi sono arrivati chiari e senza sconti, nel momento in cui ho finalmente avuto la possibilità di farlo come piaceva a me.

N:      La musica, un brand di abbigliamento, un’app per la corsa, i libri: posso chiederti come mai hai deciso di spaziare in così tante discipline? Non ti faccio questa domanda a caso. Io per prima ma anche molte persone che mi seguono apparteniamo a quella categoria che oggi prende il nome di Multipotential e spesso veniamo criticate perché la nostra società ha una forte esigenza di collocare le persone in caselline, in un data-base. Sembra che per i multipotenziali non ci sia molto spazio, soprattutto nel mondo del lavoro. Cosa ne pensi in base proprio alla tua multi-esperienza?

M:     Può essere un vantaggio e una piaga: una piaga quando non si percepisce l’effettiva dispersione di risorse ed energie che si consumano se non si ha un obiettivo preciso; un vantaggio perché avere interessi molteplici ti lascia molte finestre aperte, spesse volte dopo che tante porte vengono chiuse ovviamente.

N:       Definisci la tua sordità “antropologicamente ancora non spiegata”. Posso chiederti cosa vuol dire esattamente e come hai vissuto tu questa “inspiegabilità”?

M:     Dovrei farti un riassunto di 42 anni della mia vita in 10 righe. Qualcuno prima di me affermò: “panta rei”. In parole povere: ancora ci penso.

N:       Mi incuriosisce molto il fatto che tu riesca a “fare musica”, nonostante non riesca più a sentire la melodia. Potresti raccontarci qualcosa di più?

M:     Suonare è un riflesso condizionato dopo tanti anni trascorsi a divertirmi con la musica. Al lato pratico, indipendentemente dalla qualità di ciò che possa effettivamente produrre suonando o cantando, trovo ancora gusto a imbracciare uno strumento e a cantarci su.

N:       E adesso? Dove ti porterà il futuro?

M:     Mi auguro di dare sostanza a tutte quelle cose che ho messo in porto: siamo sempre all’inizio di una nuova partenza. Si sa da dove si è partiti e non si sa mai dove si possa arrivare.

N:      C’è qualcosa che ti senti di dire ad una persona che tutt’a un tratto, si è trovata costretta a ribaltare le sue priorità a causa di un incidente o di una malattia improvvisa?

M:     Non credo. Mi piace parlare e raccontarmi, ma ogni esperienza è personale e ha bisogno dei suoi tempi e delle sue modalità per reagire e uscire dallo stallo.

“Perdere l’udito a trent’anni non è un tragedia. Non è la cosa che tutti sognano, ma sarebbe andata peggio se per esempio avessi perso la capacità di reagire.

Mi è andata bene”.

Marco Frattini

*le foto in questo articolo sono di proprietà di Marco Frattini e sono coperte da copyright

Adozione: il viaggio che mi ha cambiato la vita

Nella mia vita il viaggio è LA componente fondamentale. Se non viaggio, mi ammalo.

Non sto scherzando.

È proprio così. Comincio ad abbrutirmi.

I giorni diventano sempre più grigi e il mio corpo ne risente così tanto che manifesta disturbi, anche molto seri, la cui principale causa è l’assenza di un biglietto aereo nelle mie tasche.

Ora tu penserai: chissà quale sarà il viaggio che le ha cambiato la vita?

Il Myanmar? Il Giro del Mondo? L’Africa?

Non posso negare che ognuno dei miei viaggi mi abbia cambiato la vita in maniera indelebile.

La conoscenza di culture diverse dalla mia, il modo di vivere in altri luoghi, la mia folle sete di curiosità si alimenta e cresce esclusivamente grazie al viaggio.

Adozione

Il viaggio rivoluzionario

Ma tra tutti, c’è un viaggio speciale che ha cambiato, che dico, che ha rivoluzionato da testa a piedi la mia vita.

Quel viaggio si chiama Catherine.

Quel viaggio si chiama adozione.

Ultimamente mi è stato detto che, da quello che scrivo, emerge che il nostro è stato sempre un rapporto idilliaco.

Non che voglia smentire questa cosa. Anzi!

Ogni giorno ho la prova che mai altra/o figlia/o sarebbe stata possibile nella mia vita al di là di lei.

Ma come tutti i viaggi (e non le vacanze) che si rispettino, anche il viaggio dell’adozione è stato impervio e ricco di difficoltà.

Difficoltà tali da farmi credere che mai sarei arrivata a lei.

Adozione: never give up!

C’è una grande macchina mostruosa che si chiama “burocrazia”, guidata spesso da gente incompetente sia dal punto di vista pratico che emotivo.

Una macchina che si erge a dare ordini, a esprimere giudizi al limite dell’insensato e che decide se avrai il timbro del “bravo genitore” oppure no. Questa è la prima grande difficoltà.

Il nostro percorso pre-adottivo è stato terribile. Punto e basta.

Non ho nessuna intenzione di edulcorarlo dicendo che qua e là abbiamo incontrato brave persone. Quelle per fortuna ci sono.

Ma chi vive in prima persona il carico da 90 sono i due elementi della coppia che non sono robot ma esseri umani e, spesso, per fortuna non sempre, questo aspetto viene sottovalutato.

Ho sentito di persone valutate come “ideali” che poi hanno rimandato indietro il bambino. Altre che hanno accettato tutto in nome di non so quale bisogno affettivo.

Non sta a me giudicare.

Le difficoltà che si vivono con un essere “altro” sono immense, impossibili da capire se non vissute personalmente.

Ma io in quanto donna che “ha scelto di adottare” e non di “procreare”, mi sono sentita rivolgere giudizi e accuse che nemmeno se avessi scelto di fare un’azione criminale.

Alla fine è contato solo il desiderio profondo, quello ha attivato l’ambiente intorno a me e poi…

Adozione la gioia

Insieme

Poi c’è stato l’incontro, ma mica è stato un incontro da favola.

Perché la mia congo-girl mi ha subito rifiutata.

E lo ha fatto per tanto tempo, così tanto che ho pensato di aver sbagliato tutto, che non fossi in grado di essere una madre per lei.

Mi ha messo profondamente in crisi.

Anche allora è stata una decisione interiore a tirarmi fuori dal pantano.

Anche allora il desiderio è stato l’unica forza motrice del cambiamento.

Decidere che mi sarei presa la totale responsabilità di questa bambina, del nostro rapporto, al di là di quello che dicevano gli altri, dei consigli di assistenti sociali e parenti.

Tutti si proclamano esperti ma ti assicuro che se ho imparato una cosa, è che si può essere esperte/i solo di quello che vivi tu, null’altro.

E questo è valso anche per tutte le cose vissute con lei dal momento in cui abbiamo messo piede in Italia ad oggi.

Adozione? Sì!

Rifarei ogni passaggio di questa adozione se questo volesse dire ritrovare lei, perché non ho mai avuto dubbi sul fatto che lei e io ci siamo scelte.

Ci siamo cercate e ci siamo ritrovate.

Ogni volta che mi legge nella mente, che sa esattamente cosa fare per tirarmi su il morale… ogni volta che siamo complici, che le nostre vite corrispondono in maniera simmetrica, mi dico:

“Ecco, hai visto? Ti sembrava che fosse tutto contro, che non ce l’avreste mai fatta, che tu non eri adatta e invece ascoltare la voce che dentro di te ti spingeva a lei, è stata l’unica cosa giusta che hai fatto”.

Mi guardo indietro ed è vero, oggi vedo solo gli episodi più belli: il nostro giro del mondo insieme, le sue parole al momento giusto, la sua crescita, persino le sue sopracciglia.

E non ho bisogno d’altro.

I ricordi negativi, complicati, i pianti, la disperazione di certi momenti, restano ma sotto il velo di questo viaggio incredibilmente meraviglioso. Un viaggio rivoluzionario per me che mai, prima di lei, avevo desiderato essere mamma.

Per noi due che costruiamo giorno dopo giorno un rapporto madre/figlia in molte parti ancora sconosciuto.

Per me e Lui che la viviamo nella nostra quotidianità con le urla per i compiti e la non voglia di fare la doccia.

Per tutte le persone che credono di non farcela e invece, ti dico, vai oltre quel pensiero perché al di là di quel pensiero c’è un viaggio rivoluzionario che ti aspetta.

Civita di Bagnoregio, la città che muore

Nella mia ultima moodboard, tra le immagini incollate, c’era anche Civita di Bagnoregio.

L’avevo presa da un vecchio libro di scuola di mia figlia.

Era da un po’ che volevo andarci anche se, confesso, fino all’anno scorso non ne conoscevo l’esistenza.

Poi le foto su Instagram e un film dato in tv poco tempo fa, hanno alimentato la mia curiosità.

Un angolo della città che muore

Perché Civita di Bagnoregio è stata definita la città che muore?

La chiamano “la città che muore” perché sorge su un colle di tufo e questo la rende fragile anche a causa dei torrenti che le scorrono alla base.

Rischia proprio di sgretolarsi su se stessa.

Il che rende questo piccolo borgo sospeso tra cielo e terra di un fascino quasi romanzesco.

Il fatto poi che, per accedervi bisogna attraversare un ponte sottile e lungo, ricorda quegli antichi racconti medioevali intrisi di leggende templari per cui vado matta.

Chissà cosa si nasconde dentro quelle mura!

Oggi è un minuscolo borgo abitato da pochissime persone (chi dice 11, chi 16) che, grazie al passaparola, è tornato a vivere.

Quanto tempo ci vuole per visitare Civita di Bagnoregio

So che non è stata una scelta felice quella del ponte del 1° Maggio ma, se avessi aspettato il giorno in cui mia figlia non fosse andata a scuola e mio marito al lavoro, non saremmo mai andati insieme (insomma una cosa che accomuna tutte le famiglie normali, no?!).

In fondo è bastato partire presto la mattina per riuscire a evitare la fila alla biglietteria d’ingresso (che invece verso ora di pranzo era lunghissima) e godersi il paese, i suoi archi, le viuzze, i cortili pieni di fiori e una vista che da lassù era davvero degna della fiaba più romantica.

Una mezza giornata piena ti basterà, se arrivi presto, a goderti Civita.

Dettagli a Civita
Civita di Bagnoregio cosa vedere

Civita di Bagnoregio come arrivare

Se pensi che sia complicato raggiungerla, ti smentisco subito perché Civita di Bagnoregio si trova proprio al centro del nostro stivale. Al confine tra Lazio, Umbria e Toscana.

Quindi equidistante da praticamente tutto.

Una volta raggiunta Bagnoregio si parcheggia la macchina e si può scegliere se prendere la navetta o attraversare Bagnoregio e raggiungere l’ingresso di Civita a piedi.

Noi abbiamo optato per andare a piedi all’andata e per la navetta al ritorno, anche perché in questo modo siamo riusciti a visitare anche Bagnoregio.

Civita di bagnoregio vista

Informazioni utili per visitare Civita di Bagnoregio

Qui di seguito ho raccolto un po’ di informazioni utili per visitare Civita di Bagnoregio, da dove parcheggiare a dove mangiare, e così via.

Quanto costa il parcheggio a Civita di Bagnoregio

Puoi parcheggiare la macchina a Piazzale Battaglini.

Il parcheggio costa 2 € l’ora, 5 € per l’intera giornata.

Da lì prendi la navetta ad 1 € a persona.

Quanto si paga per entrare a Civita di Bagnoregio

Il biglietto d’ingresso a Civita di Bagnoregio è di 5 €. I bambini fino a 6 anni non pagano.

Cortile a Civita di Bagnoregio

Civita di Bagnoregio dove mangiare

Per la rubrica “dove mangiare” posso dirti di non perdere assolutamente le ricottine de L’arco del gusto, proprio a Civita.

Io l’ho presa con miele e cannella e la mia girl con la nocciola. Non ho alcuna foto perché le abbiamo letteralmente divorate (ahahahah… comportamento da perfetta Instagramer), il che però ti conferma che sono buonissime.

All’Arco puoi anche pranzare naturalmente ma, visto che a ora di pranzo era strapieno, abbiamo optato per tornare a Bagnoregio e, ascolta bene, abbiamo preso dei panini in Macelleria. Tutti con prodotti locali e prezzi che non ricordo da quando ero bambina (2 € al panino).

Naturalmente troverai trattorie e ristoranti se preferisci fermarti più a lungo ma noi volevamo fare una tappa a Bolsena e prendere un po’ l’aria del lago ché, se arrivi fino a Bagnoregio, è davvero un peccato non allungarti fin lì.

Civita di Bagnoregio

Curiosità: film girati a Civita di Bagnoregio

Civita è stata scelta come set cinematografico per numerosi film e fiction per la tv.

L’ha voluta Mario Monicelli per una scena del mitico “Amici miei”.

Alessandro Genovese ha girato nel 2018 a Civita “Puoi baciare lo sposo”.

Nel 2009 Alberto Sironi l’ha scelta per la sua fiction Rai “Pinocchio”.

Ma posso citare anche “I due colonnelli” di Steno e persino Miyazaki che non ha girato qui ma Civita è stata la sua musa per il suo “Laputa, il castello nel cielo”.

Civita di Bagnoregio scorcio

I tempi lenti dei borghi

Non sarebbe da me concludere questo racconto senza aprire una parentesi alcontrario. Buona lettura!

Il forno ha finito il pane e non lo rifà perché ormai sono le 13 e sta per chiudere, turisti o no.

Dal lavandino del bar dove stai prendendo il caffè scende l’acqua a filo e le mie orecchie sentono bisbigliare: “Se continua ad arrivare gente, non ce la facciamo”.

Il macellaio, mentre imbottisce gli ultimi panini, dice: “Non ci aspettavamo tutta questa affluenza in questo ponte”.

Tutto questo accade e io non posso fare altro che notarlo.

Noi siamo cittadine/i, abituate/i a tutto aperto h 24, che se vuoi una cosa, un posto lo trovi sempre.

Esigenti, senza orari, viziate/i.

Beh, tutto questo forse lo abbiamo dimenticato. O forse non lo abbiamo mai conosciuto.

Io vengo dalla provincia, e ho conosciuto un tempo in cui i negozi chiudevano alle 13 e riaprivano alle 16,30. Un tempo in cui il pomeriggio era per i compiti e per il riposino (per qualcuno anche per le telenovelas sud-americane). Un tempo in cui il pane il tardo pomeriggio non lo trovavi più in panetteria, ed era giusto così. Mica si poteva sprecare.

Andare in questi piccoli borghi è un po’ riappropriarsi della lentezza di allora, di usanze legate ai tempi naturali della vita e viverle in pieno…

… ché male non ci farebbe trasportarle nella nostra quotidianità frenetica…

… ché forse tornare alle radici, alla terra, ci aiuterebbe a recuperare e ad avere cura delle cose che diamo sempre per scontate.

Per fortuna ci sono i nostri ricordi, mica solo quelli della mente, anche quelli dei sensi e forse basta poco, basta un contatto con la gente di questi luoghi, per far riaffiorare quei ricordi e tornare a un ritmo più vero, più sano.