Sono una marinaia: intervista a Valentina Meloni

Questa è una di quelle storie che ti si infilano dentro e non riesci più a toglierti dalla testa.

Una storia che ti capita per caso nelle orecchie e non puoi fare a meno di raccontare.

Questa è la storia di Valentina Meloni, una donna che, dopo aver svolto mestieri molto diversi tra loro (segretaria, impiegata in azienda, in banca, ecc..), ha deciso di girare il mondo in maniera avventurosa.

Come?

Su una barca. Proprio così!

Ha imparato il duro mestiere del marinaio, anzi della marinaia, e per mesi ha girato il mondo in barca a vela toccando paesi come Singapore, Malesia, Thailandia, Sri Lanka, Maldive, Yemen, Africa.

Un anno nel bel mezzo dell’oceano Atlantico, l’anno dopo in quello Indiano e, infine, nel Mar Rosso.

Oggi Valentina è tornata in Italia e io sono riuscita a strapparle un’intervista che sono certa sarà per tutte/i noi una boccata d’aria fresca e una spinta in avanti nella realizzazione dei nostri desideri.

giro del mondo in barca Valentina Meloni
Valentina a Kabri – Thailandia *

Intervista a Valentina Meloni

Ciao Valentina e grazie di cuore per aver accolto la mia richiesta di raccontarci la tua storia.

  • N. Posso chiederti innanzitutto chi era Valentina prima di intraprendere questo enorme cambiamento nella vita? Cosa sentivi, provavi quando ti alzavi dal letto la mattina e quando finiva la tua giornata la sera?
  • V. Valentina era molto simile ad ora ma, allo stesso tempo, un po’ diversa. Negli ultimi dieci anni ho viaggiato tanto e mi sono ritrovata a vivere all’estero per svolgere lavori molto diversi tra loro. Le sensazioni che provo quando mi sveglio e vado a dormire sono sempre le stesse. Mi piace l’idea di non sprecare tempo. E se non impiego bene le mie giornate inizio a sentirmi un po’ inquieta. Mi piace avere sempre qualche progetto nuovo da curare o qualche avventura da intraprendere. Questo è ciò che ribolle in me da sempre. Sono comunque un po’ diversa perché ho nuove esperienze nel mio bagaglio e questo mi rende una persona in continua evoluzione.
  • N. E chi è oggi Valentina Meloni?
  • V. Fondamentalmente una persona adulta ma con lo spirito selvaggio di una bambina ribelle.
  • N. Ci racconti qual è stata la molla che ti ha fatto decidere di partire? 
  • V. L’idea di intraprendere un nuovo viaggio imparando un mestiere così affascinante e il desiderio di trovarmi isolata da tutto e tutti in mezzo all’oceano con il cielo incredibilmente stellato sopra di me. Questo è qualcosa di davvero impagabile.
Thailandia Valentina Meloni
L’arcipelago di James Bond Island in Thailandia *

  • N. E adesso? Sei tornata in Italia, alla quotidianità. Come vivi questa nuova dimensione, perché immagino ti sembrerà nuova rispetto a prima?
  • V. Quando torno a casa ci sono degli aspetti che continuano ad appartenermi, altri invece, li riscopro molto lontani. Ma forse è solo il tempo che passa e modifica le cose a prescindere dai miei viaggi. Quando lasci la tua città d’origine per molti mesi e poi torni, i cambiamenti sono sempre più evidenti e li noti con maggior attenzione.
  • N. Ti va di raccontarci tre tuoi obiettivi, uno a breve, uno a medio e uno a lungo termine?
  • V. Il mio obiettivo a breve termine è quello di trovare una nuova dimensione lavorativa il più presto possibile. E questo implica il dover decidere che professione intraprendere nei prossimi mesi. Ho tante idee ma devo decidere quali seguire. L’obiettivo a lungo termine è quello di riuscire a trovare l’ispirazione per scrivere un libro che raccolga le avventure per mare e per terra degli ultimi anni. In tanti, amici e conoscenti, mi hanno chiesto di mettere su carta queste esperienze. Ma ora come ora, non ho ancora trovato la motivazione per riuscirci. In realtà, ho sempre raccontato le mie esperienze nel mio blog e nei diari cartacei che porto sempre con me durante i miei viaggi, ma scrivere un libro è una cosa seria. E non vorrei deludere le aspettative di chi mi leggerà e dell’albero che si sacrificherà per donarmi la carta.
viaggio intorno al mondo Valentina Meloni
Tratto di navigazione tra la Malesia e la Thailandia *
  • N. Cosa diresti a chi si è sentita/o dire da tempo “Questo non è un mestiere per te”? 
  • V. Direi che c’è sempre possibilità per diventare ciò che si vuole essere. Basta impegnarsi molto e non smettere mai di credere nelle proprie capacità. Ci saranno molti no all’inizio forse e anche delusioni, ma nulla ci vieta di diventare persone nuove. Se siete intrappolati in qualcosa che non vi piace, cambiate e lavorate duramente per costruire una persona nuova. Si può fare. C’è vita dopo il cambiamento. Non ascoltate chi vi dice che non ce la farete perché spesso è qualcuno che ve lo dice per paura e perché lui stesso non ha mai rischiato. E soprattutto, prendete in considerazione strade che non avete mai considerato. Magari la prima che sceglierete non sarà la definitiva, magari sarà una strada limitrofa che vi porta alla principale, a quella che fa davvero per voi.
 
*Tutte le foto sono coperte da copyright e appartengono a Valentina Meloni

Rita Cioce: una letterata alla riscossa

Sono sempre stata convinta che sia il cambiamento delle persone comuni a determinare le vere rivoluzioni.

Mi trovo in questo d’accordo con il saggio Gandalf: “Saruman ritiene che soltanto un grande potere riesca a tenere il male sotto scacco. Ma non è ciò che ho scoperto io. Ho scoperto che sono le piccole cose… le azioni quotidiane della gente comune che tengono a bada l’oscurità. Semplici atti di gentilezza e amore.” (da “Lo Hobbit – un viaggio inaspettato”). 

E oggi, nel giorno della festa della donna, il mio riflettore è puntato su una donna, per l’appunto, Rita Cioce.

Lunghi capelli neri, sguardo fiero. Una di quelle persone che, quando le incontri, lo capisci subito che ha una storia interessante alle spalle.

Una di quelle persone che, ad un certo punto della sua vita, ha deciso di ingranare la marcia del cambiamento, lasciando un lavoro “sicuro” in un’università prestigiosa, traslocando da una casa in città che le stava stretta, e puntando tutto sulla sua felicità.

Perciò siediti comoda/o e lasciati ispirare dall’intervista a questa donna meravigliosa: Rita Cioce.

Rita Cioce ritratto
Rita Cioce

Rita Cioce

 N.  Ciao, Rita e grazie per questa occasione. Come scrivevo prima, la mia attenzione va innanzitutto alla persona. Ecco perché ti chiedo: chi è Rita?

R. Una persona in cammino che cerca Dio e che detesta gli organigrammi aziendali. Una donna che aveva un sogno e lo ha realizzato, che ha scommesso su se stessa e ha vinto!

N.  C’è stato un evento nella tua vita che ti ha fatto dire: “No, adesso basta! Adesso cambio”? 

R. C’è una frase nel film “L’attimo fuggente” a me molto cara: “È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva.”
Ed è quello che ho fatto, il risultato è stato sorprendente: tutto quello che avevo inseguito e che pensavo di volere con tutte le mie forze d’un tratto è diventato “fuffa”!

Ecco come è andata: estate 2014, e non avevo mai sentito parlare così tanto di felicità come in quell’ultimo anno. Mi chiedevo: sono solo più sensibile all’argomento o qualcosa sta davvero cambiando? La gente che prima correva, adesso si fermava a pensare? Finalmente stavano mettendo in discussione i vecchi sistemi ai quali ci eravamo abituati tutti. A tanta gente lavorare otto ore al giorno non sembrava più tanto normale e il dubbio iniziava ad invadere anche le bacheche virtuali. Di ritorno da una domenica passata al mare con le mie amiche, Didi e Marianna, quest’ultima mi sorprese con una domanda: “ragazze abbiamo sbagliato qualcosa, ci siamo organizzate male, cosa abbiamo sbagliato?” 

La questione era nata spontanea al pensiero del lunedì lavorativo che ci attendeva. Quel malumore ci accompagnava ogni volta che la domenica volgeva al termine. Il motivo sempre lo stesso: il lavoro o meglio tutto il tempo della nostra vita usato per lavorare. Possibile che non ci fosse un modo per sostenersi economicamente senza ingabbiarsi otto ore al giorno? La riflessione a voce alta di Marianna restò sospesa nell’abitacolo del veicolo, ma continuò a ronzarmi in testa senza mai uscirne. Quello era un interrogativo potente a cui sentivo di dover dare una risposta. Il dubbio che la società si fosse organizzata male diventava ogni giorno di più una certezza. Preso atto di questo urgeva una risposta. Ma chi ce l’aveva? Navigando in rete scoprii di non essere sola, migliaia di persone si facevano quella domanda. Un punto interrogativo enorme che metteva in discussione tutto quello su cui avevo costruito la mia vita. Alla fine tutti lavoriamo per poter pagare i conti e concederci magari qualche agio. Ogni volta che strafacevo negli acquisti mi giustificavo dicendo a me stessa e agli altri: “lavoro come una pazza me lo merito uno sfizio ogni tanto”. Ma nella mia testa quel ragionamento non funzionava più, non tacitava i mille dubbi che avevo. Si era spontaneamente invertito: volevo lavorare ma solo per procurarmi il necessario per vivere. Svegliarmi e poter bere il mio caffè con tutta calma, e concedermi una bella passeggiata in tranquillità erano diventate le mie uniche priorità. Ero stanca di correre…
E poi è arrivato Francesco Grandis, ma questa è un’altra storia…

Parliamo di fede

N.  Quanta importanza ha avuto la tua fede cristiana in questo cambiamento?

R. All’apparenza nessuna, ma in realtà tutto! Perché ho capito dopo che quello che mi è successo faceva parte di un disegno divino.  Sognavo di diventare una nomad worker, rivolevo la mia libertà, pensavo e penso che sia ancora il più bel modo di riappropriarsi di se stessi.  Come ho scritto in un articolo per i nomadi digitali, “il nomadismo digitale è un nuovo modo di guardare alla propria vita”, è rompere un cerchio, quello che da tanti anni circoscrive le nostre vite, un cerchio invisibile che pensavo fosse la mia rivincita sul mondo e che, invece, si era trasformato solo in una gabbia.

Bene, in questi ritmi umani recuperati e finalmente con molti momenti di silenzio di cui godere, ho sentito anche la voce di Dio. È arrivata in un pomeriggio qualunque mentre fumavo una sigaretta e ammiravo i gabbiani. Le domande che mi sono arrivate all’improvviso erano due: dov’è finita la tua dimensione spirituale? E dov’è Dio nella tua vita?
Questi interrogativi arrivavano, tra l’altro, dopo tre giorni di vuoto, in cui ancora una volta stavo mettendo tutto in discussione.

Avevo realizzato tutto quello che volevo, ma mi mancava un tassello, quello più grande: il senso della vita stessa! Senso che ho trovato nel vangelo, in particolare nel discorso della montagna di Gesù, consiglio a tutti di leggerlo, vi darà una pace immensa.
Questo nuovo cammino mi ha donato persone ed esperienze meravigliose. Faccio parte, infatti, della Comunità di Sant’Egidio ed insegno italiano digitale in un Istituto Salesiano; credo sia il segno che anche a Dio piace la libertà! L’incarico arrivato davvero grazie alla Provvidenza è per me soprattutto una sfida personale ed una delle esperienze umane più belle, e mi regala l’immenso privilegio di collaborare al progetto di Dio.

Vista da casa di Rita Cioce
La vista dalla nuova casa di Rita

Progetti futuri

N.  Raccontaci com’è nato ioscrivoitaliano.it e quali sono i tuoi obiettivi per il prossimo futuro.

R. Il mio progetto è nato da una nuova consapevolezza: non bisogna guardare a se stessi sempre per difetto. Mi spiego meglio: mi ero sempre crucciata per non essere brava in inglese, trascurando per anni che nella mia lingua, invece, ero più che brava! Con l’avvento dei social network mi sono resa conto che conoscere la lingua italiana è un valore aggiunto, e pare che ultimamente se ne stiano accorgendo anche nelle alte sfere. Occorreva però rendere questa conoscenza spendibile nel mondo del lavoro; da queste due consapevolezze è nato l’italiano digitale dei letterati alla riscossa. Su Ioscrivoitaliano.it condivido le mie conoscenze di blogger e community manager utili a chiunque voglia sfruttare al massimo le potenziali della rete per farsi conoscere.

Da qualche tempo ho creato un corso di self marketing proprio per aiutare chi è stanco del proprio lavoro fra quattro mura, e ha deciso di trasformare la propria passione in un lavoro.
Ho racchiuso in questo corso quello che ho fatto io, basandomi sulla mia esperienza. Non parlo per sentito dire, ma perché ho vissuto e messo in atto una vera strategia di personal branding.

A tutti sento di dire questo: ognuno di noi ha ricevuto un dono e può farlo conoscere al mondo, bisogna studiare e lavorare sodo, ma la ricompensa è altissima.

Il lavoro non può essere una trincea, dove la tensione si taglia con il coltello, e la tristezza fa banchetto con te tutti i giorni.

Prima del salto indossavo sempre un’armatura, ora il mio outfit prevede solo un sorriso.

Ecco, ti lascio con questo augurio di Rita Cioce… che i nostri outfit prevedano, prima di ogni altra cosa, un sorriso.

Intervista ad Andrea Girardi

Ho avuto l’occasione di “incontrare” virtualmente Andrea Girardi in rete e di scoprirne i suoi lati sfaccettati.

Prima di lasciarti alla sua intervista per poter far conoscere anche a te l’interessante persona che è Andrea Girardi, ti lascio una breve riflessione che mi ha fatto scaturire la chiacchierata con lui.


Le persone forti sono sole?

Lo chiedo a te che sei un’anima al contrario come me e che sicuramente, almeno una volta nella vita, ti sei sentita/o dire: “Ah, ma tu sei forte. Ce la fai”.

Non so a te ma a me questa frase, ascoltata infinite volte, dà la nausea.

Non è che perché siamo forti non siamo umani.

Non è che il forte non soffra, non pianga, non trovi ostacoli sulla sua strada.

Non è che il forte non abbia bisogno di sostegno, di affetto e magari qualche volta di una pacca sulla spalla.

E soprattutto ti è mai venuto in mente che, se si è forti, un motivo ci sarà?

La storia di Andrea Girardi

Oggi ti racconto una storia, una storia preziosa.

Una storia che riguarda un uomo abbastanza conosciuto in rete, Andrea Girardi.

Un uomo molto riservato, si potrebbe anche dire un po’ misterioso.

Uno di quelli che guardi con ammirazione, di cui leggi con attenzione le parole e che percepisci chiaramente come non costruito ma reale.

La sua è la storia di chi si è sentito dire molte volte: “La fai facile tu, sei fortunato. A te va tutto bene. Ci son cose che non puoi capire”. Un forte, per l’appunto. Ma come mi piace sempre sottolineare, innanzitutto un essere umano.

Una persona normale con i suoi fardelli sulle spalle.

Uno che, come quasi tutte/i noi, tante cose non le può capire. Tuttavia, come quasi tutte/i noi, ha avuto una dose sostanziosa di schiaffi dalla vita.

Quindi adesso mettiti comoda/o e sorseggia una storia che, sono certa, ti piacerà molto.

Andrea Girardi e la sua passione per le auto

Andrea Girardi: l’imprinting

“Avevo 5 anni. Ero un bambino timido e per niente avventuroso. Eppure… un po’ incosciente. Il giardino dei miei nonni era su due livelli, con una differenza di circa un metro. Un giorno decisi di prendere la rincorsa con la mia bicicletta e saltare quel dislivello alla massima velocità possibile. Studiai il posto migliore e, forte del fatto che ormai mi avevano tolto le rotelle, scelsi una zona con atterraggio abbastanza morbido, anche se avrei dovuto passare tra due paletti e sotto un’ asta di ferro poco più alta della bici.

Un successo! Fu la prima volta che riuscii a fare qualcosa che mi sembrava impossibile. La prima volta che scoprii di avere la forza di prendere delle decisioni che non pensavo di poter prendere perché troppo “audaci”. E di riuscire a tirar fuori la forza di affrontare quelle cose che oggi chiamiamo sfide.

Negli anni sono tornato lì con la mente. Ogni volta che mi sono trovato di fronte a qualcosa che aveva un forte impatto sulla mia vita o che mi spaventava o mi lasciava un senso di smarrimento, tornavo a quell’attimo prima di cominciare a pedalare con foga in direzione del mio salto.”

L’adolescenza di Andrea Girardi

“Di momenti nei quali mi sono trovato a dover tirar fuori quella forza, sempre senza sapere di averla, ne ho avuti parecchi. Da quando mi sono trovato a 17 anni a dover scegliere se continuare a fare il ragazzino o assumermi delle responsabilità. E la scelta fu improvvisa. Una telefonata mi comunicava che il mio papà non c’era più. Ero abituato a veder sparire le persone della mia famiglia. Nei dieci anni precedenti li persi quasi tutti, ma erano tutti molto “anziani” ai miei occhi di bambino e adolescente. Questa volta invece non lo concepivo. Non lo capivo. E fu tosta, tanto tosta.

Scontrarmi con il mondo degli adulti fu complicato anche perché, i primi con i quali ebbi a che fare, si aspettavano da me quello che avevano visto dagli altri membri della mia famiglia. Ma io non avevo né il carattere, né le competenze, né la maturità di nessuno di loro. Però avevo loro nella memoria e, si sa, si impara per imitazione. In qualche modo trovai la forza di fare. Dove? Non lo so, e so anche che non pensavo ce l’avrei fatta. Solo che non avevo alternative: dovevo farlo.

Tra le tante cose di quegli anni da giovane adulto, ci fu anche la voglia di misurarmi con le gare automobilistiche. Ma senza una guida, senza i soldi necessari e senza conoscenze nell’ambiente. E allora imparai a trovare sponsor, a fare trattative, a interfacciarmi con squali che dirigevano i reparti marketing di grandi aziende, oltre a pilotare (che guidare è un gradino sotto) e nuotare in quel mare di figure a volte poco serie del mondo dei motori.

Anni senza grandi risultati finché un giorno successe qualcosa di diverso: una sfida con i campioni veri in una manifestazione internazionale. E ricordo bene la sera prima, quando un amico di vecchia data mi chiese: “Ma domani?”. Ecco, lì scattò qualcosa che mi fece ritrovare audacia e forza e la mia risposta fu: “Domani vinco”. Vinsi e con un margine incredibile.”

Diventare grandi

“La forza ho dovuto trovarla quando, intorno ai 30 anni, seppi che sarei diventato padre (oh, ci si spaventa quando non si è preparati!). Ma soprattutto la forza ho dovuto trovarla quando, dopo l’ubriacatura di felicità che ne derivò, dovetti sentirmi dire: “Adesso non lo sei più”. Questo credo sia stato il momento in assoluto più difficile di tutta la mia vita. E non passa giorno in cui non rivolga un pensiero a quel bambino che non c’è più. Francamente non ho idea di come abbia fatto a non impazzire e  a superare la cosa, restando calmo e facendo da supporto alla mamma. Insomma a fare le spalle larghe alle quali appoggiarsi.

Ho dovuto “tirar fuori gli attributi” dieci anni dopo. Quella relazione era ormai insostenibile per entrambi e mi sono trovato costretto a chiuderla. A modo mio. Lasciando un’azienda che funzionava, fondi, contatti e abitazione, e accollandomi un mutuo su una proprietà che non sarebbe mai stata mia (mi scocciava che si potesse anche solo pensare “hai lasciato una persona nei problemi”). Insomma dovevo ricostruire tutto da zero e da solo. L’ho fatto ma ho pagato troppo lo sforzo psicofisico dei due anni successivi. E così mi sono trovato in un ospedale con alcuni problemi di vario genere e con un medico che mi diceva “… e poi risolto questo, dobbiamo procedere anche ad eliminare un tumore che non può aspettare”. Ok, era benigno, ma la forza di stare in piedi non credevo di averla.”

Una delle rare foto di Andrea Girardi

Andrea Girardi, oggi

“E sono ancora qui. Nel frattempo mi sono anche innamorato pazzamente di una donna meravigliosa. E di nuovo devo trovare la forza di costruire qualcosa di meglio di quanto abbia mai fatto, lavorando possibilmente molto meno di quanto abbia mai fatto e in modo molto più mirato.

Io non lo so se ho la forza di rimettermi in gioco un’altra volta, ma so che ci metto tutto quello che posso e anche un po’ di più.

Voi che dite, la trovo la forza che serve?”


Questa è la storia di Andrea Girardi (eh già, proprio lui) che ringrazio pubblicamente per avermi donato la possibilità di raccontarla, la sua storia.

Una storia che, come lui stesso dice, lo mette a nudo. E mostra tutte le sfide che ha dovuto affrontare, “che sono anche i momenti nei quali hai bisogno di quel qualcosa in più che non sai mai da dove viene. Sì, perché quando la sfida te la scegli, quando è un tuo obiettivo, allora è un conto.

Il difficile, invece, è quando la sfida arriva dalla vita e non la vorresti proprio affrontare.

Tu che ne dici? La trova la forza che gli serve?


Ti lascio qui di seguito il link al profilo linkedin di Andrea Girardi per approfondire il suo lavoro di HR Executive.

La storia di Lisa Bortolotti

Oggi nella mia rubrica ho un ospite davvero speciale.

Lei è Lisa Bortolotti.

Lunghi capelli rossi, piccola di statura come me e un carattere da far invidia a tanti Golia.

Di solito faccio una piccola premessa per presentare le mie ospiti. Questa volta ho deciso di non dirti nulla, se non: leggi fino in fondo. Non te ne pentirai!

Enjoy!

Lisa Bortolotti
Lisa Bortolotti

Lisa Bortolotti

“Mi sono sempre sentita al contrario sotto vari punti di vista. Per carattere ma anche per le tappe che hanno scandito la mia vita, che si sono concretizzate al di fuori dell’ordine precostituito da questa società. Niente che mi possa rendere più fiera di questo.

Forse oggi ho raggiunto la stessa linea temporale di qualunque altra donna. E sinceramente non so se tutto ciò mi faccia sentire al sicuro o decisamente terrorizzata della vaga possibilità di diventare “normale”. Perché io tanto normale proprio non voglio esserlo.

Stavo in auto con il mio fidanzatino, una vita fa, e mi lamentavo che se avessimo rispettato i tempi e le tappe previste da questa società, una famiglia l’avremmo costruita chissà quando e chissà in che modo: studiare, cercare lavoro, risparmiare denaro, costruire casa, matrimonio, figli, famiglia.

Al tempo quel traguardo, una famiglia mia, lo vedevo lontano anni luce rispetto a quel desiderio che, stranamente, si faceva urgente. L’urgenza del cambiamento, l’urgenza di non voler accettare le regole che altri mi stavano imponendo.

I desideri possono avverarsi

Un detto saggio dice che dobbiamo stare molto attenti a ciò che desideriamo perché potrebbe avverarsi. In quel momento non sapevo di aver attivato, con quel desiderio profondo e intenso, una serie di cambiamenti di portata travolgente per la mia vita.

Di lì a pochi mesi sono stata tuffata in un destino tutto alcontrario, saltando tappe, cambiandone altre, variando obiettivi e girando angoli imprevisti.

Oggi posso dire che tutto questo mi ha salvata da un destino arido e triste.

Le mie tappe tutte all’incontrario mi hanno fatto realizzare in pochi anni ciò che una donna fa durante l’arco di tutta una vita e con un ordine tutto strano.

Ero poco più che ventenne e sono rimasta incinta, mentre ancora frequentavo l’università.

Ricordo chiaramente il ginecologo che, vedendo due giovani al suo cospetto, fece la fatidica domanda “la gravidanza è o non è accettata?”, aspettandosi già la risposta, con quell’espressione sconsolata di chi odia dover intraprendere il percorso di un nuovo aborto. Ricordo di aver pensato “ma che caz.. di domande fa???” e penso di averlo guardato di conseguenza.

Diventare mamma

A 23 anni diventavo mamma, quando ormai in ospedale, di media, le neo mamme al primo figlio avevano la “veneranda” età dei 40 o quasi. Anche in questo ero in controtendenza, come al solito!

Ho imparato a far da mamma strada facendo. Anni dopo ho realizzato l’importanza di questo evento stravolgente: molte pensano che il Principe Azzurro debba essere un marito, ma per me è stato mio figlio che, arrivando, mi ha letteralmente “salvata e strappata” da un copione che odiavo e non volevo recitare.

A tre mesi dal parto ho cambiato casa vivendo un’esperienza unica e di grande accrescimento personale: 12 anni in una casa con altre 8 persone e 5 generazioni sotto lo stesso tetto. Se ne esce profondamente cambiati, con insegnamenti ed esperienze che oggi non si fanno più: pazienza, accoglienza, amore incondizionato, supporto, sorrisi, aiuto reciproco, accettazione. Dodici anni di vita comunitaria: oggi posso parlare di comunità e territori perché in primis l’ho sperimentato su me stessa.

Alcontrario anche i rapporti con i nonni. I miei nonni li ho goduti poco, stupida e inconsapevole adolescente, ma ho avuto il privilegio e l’opportunità di averne di adottivi molto più tardi: i nonni di mio marito sono diventati i miei nonni. Li ho chiamati fin da subito “nonno” e “nonna” e li ho amati immensamente, di quell’amore che non ha bisogno di legami di sangue per nascere e sbocciare. Ho ricevuto nuovi nonni a 23 anni e questo è stato un regalo di cui sono profondamente grata alla mia vita all’incontrario.

La famiglia di Lisa Bortolotti
Le 5 generazioni di Lisa Bortolotti

Mettere attenzione

Non ho aspettato molto dal mio cambio di casa ed è arrivato il matrimonio. Oh, se tornassi indietro metterei più attenzione a quei giorni così frenetici! Ricordo poco. Mio figlio era presente, piccolino e tirato di tutto punto: ancora oggi è un qualcosa di raro, nonostante tutta questa modernità che ci avvolge, avere i propri figli al matrimonio. Quando era ancora piccolino, lui, vedendo i filmini del matrimonio dei genitori di un suo compagno di classe chiese, con tutta l’ingenuità del caso: “ma il mio amico dov’è??”. Ecco, i nostri figli imparano cosa sia “normale” da noi e dall’ambiente che costruiamo loro attorno. Abbiamo questa grande responsabilità.

Ero ancora in fase di apprendimento per le qualità tipicamente materne (che sinceramente non pensavo di avere) che ho dovuto cercare lavoro. Stavo studiando ancora all’università e non avevo molto tempo per preparare quel concorso e sapevo di doverne sostenere molti altri prima di vincerne, forse, uno. Quello era il lavoro perfetto solo per la gioia di papà, ma avevo anche bisogno di lavorare e ho gareggiato. Vinsi.

Il posto fisso

Il primo marzo 2001 iniziavo a lavorare al “posto fisso”. Mio figlio avrebbe compiuto di lì a poco 2 anni. Per mio padre un sogno, per me una gabbia buia e triste: io animo libero e ribelle incastrata nella pubblica amministrazione per necessità.

Lavoravo da pendolare, facevo la mamma e studiavo al pomeriggio. Di quei giorni ricordo solo la fatica e la frustrazione di star poco con il mio bambino. Di lì a un anno mi sono finalmente laureata e per questo devo ringraziare mio marito che mi ha spronata a non mollare mai. Di solito, quando ci si laurea, al massimo hai un fidanzato. Io avevo i suoceri.

Tutto a rovescio.

In questo racconto manca solo la casa, che stavamo costruendo da zero e non ho la più pallida idea di come ci siamo riusciti, tra mancanza di denaro e mezze fregature. Abbiamo imparato molto. Nel 2012, finalmente, ci trasferiamo nella casa nuova, con due figli e non ci facciamo mancare neppure il gatto.

E poi? E poi le tappe sono finite.

Vuoto?

Avevo questa idea vaga che avendo figli grandi quando sarei stata ancora giovane avrei potuto dedicarmi a qualche hobby o nuovo interesse. Sinceramente avevo immaginato di viaggiare, ma il sacro fuoco per il travel, la valigia e l’ignoto ancora non mi è venuto per nulla e continuo a preferire tisana e copertina.

Mentre la mia secondogenita era poco più che in fasce mi sono avvicinata ai temi dell’economia e del monetarismo, soprattutto nelle forme che riguardano la sovranità monetaria e, in seguito, della progettualità territoriale e comunitaria. Ancora una volta una scelta in controtendenza, in un ambiente tutto al maschile e tutt’altro che accogliente e trasparente. Ho combattuto le mie battaglie, a volte contro persone poco oneste. Altre volte con me stessa e i miei limiti, che ho imparato a superare. Ho accumulato esperienza, quella che di solito si fa prima di costruire una famiglia. Di nuovo arrivo dopo, in fretta, ma con tanto slancio e qualche strumento in più che “l’età che avanza” ti mette a disposizione.

No, il club dell’uncinetto proprio non faceva per me

La normalità proprio non fa per me e mi sono messa in testa di costruire qualcosa di mio, che mi dia soddisfazione, che possa unire le mie qualità e talenti personali con l’idea, forse malsana, di far qualcosa di buono per il mondo. Sarebbe un ottimo esempio per i miei figli, che sono abbastanza grandi per comprendere una delle lezioni più importanti nella vita: ‘segui i tuoi sogni’.

Mentre inizio a costruire tutti i sogni che voglio immaginare, sono certa di una cosa: che il modo in cui realizzerò i miei nuovi sogni sarà tutto alcontrario!

Ho ancora una vita intera per stravolgere di nuovo tutte le tappe che mi aspettano. Ma questa volta non solo cambierò l’ordine degli addendi. Deciderò io anche quale direzione prendere!

Ode ai nuovi inizi, purché comincino in disordine!”


Ringrazio Lisa Bortolotti per la sua bellissima storia.

Se anche tu vuoi essere protagonista della mia rubrica, clicca su Unadonnaalcontrariochiamagentealcontrario e scopri com’è facile partecipare.

Intervista a Francesca Di Pietro

Sono giorni che l’autunno bussa alla porta e lo fa con scrosci di pioggia.

Freddo gelido una mattina e caldo umido la mattina dopo. Roba che il cambio di stagione non so ancora se farlo o no.

Questo è il momento per me di mettere nuova legna sul fuoco e di solito la mia legna preferita è progettare un nuovo viaggio.

Forse per questo, forse perché l’ammiro molto, forse perché non riesco a resistere alla sua riccia chioma scarlatta, ho voluto fortemente intervistare la donna che ha fatto del viaggiare da soli la sua strada della vita, passando dal lavoro di psicologa a quella di travel-coach.

Lei si chiama Francesca Di Pietro, ha visitato 66 paesi, ha scritto un libro che risponde a molte domande sul viaggio in solitaria. Il tutto con una gran dose di ironia effervescente che è l’ingrediente magico per la vita di noi, animealcontrario.

Goditi l’intervista, entrate nel mondo di Francesca e tenetevi libere/i per i suoi progetti futuri.

Enjoy!

Francesca Di Pietro

N – Per rompere il ghiaccio, ci racconti chi è Francesca?

F – Wow! Quante ore hai perché ti risponda? Francesca è una ragazza molto riflessiva, o forse dovrei dire che si fa tante “pippe mentali” ed è per questo che sono brava a spezzettare, analizzare, meta leggere tutto! E ne ho fatto un lavoro.

N – Com’è che, ad un certo punto della tua vita, hai deciso di fare un salto quantico trasformando la tua professione di psicologa in travel coach?

F – Ho ascoltato quello che mi dicevano tutti: “devi fare la psicologa dei viaggi”. Ecco l’ho fatto! Prima mi occupavo di formazione comportamentale dell’adulto, diciamo che continuo a farlo. Ma ho cambiato il luogo ed invece che rendere una persona migliore nel lavoro mi piace pensare che la rendo migliore nella vita.

Francesca Di Pietro
Francesca a Broken Sea (Nusa Penida)

La figura del Travel Coach

N – A proposito, cos’è un travel coach e perché può fare la differenza nell’organizzazione di un viaggio in solitaria?

Il travel coaching è una metodologia che trasforma il viaggio in un processo di crescita. Quando viaggiamo da soli è tutto amplificato, ogni sensazione e ogni emozione è più forte. Noi siamo nudi e come tali più propensi al cambiamento perché non abbiamo appigli, porti o alibi ai quali appoggiarci.

F – Se ti fa piacere, raccontaci quella storia di tua nonna che attraversò le Ande nel 1911 e del tuo legame con questo evento.

Certo che te lo racconto, ci ho anche scritto un post! La storia parte dai miei capelli, io sono rossa, la mia famiglia è molto mediterranea. Sono nata a Napoli ed ero diciamo l’unica rossa, il che non ti rende l’adolescenza una cosa facile. Quando da bambina chiesi come mai io non assomigliavo ai miei genitori e a differenza di loro ero molto chiara, mi risposero che avevo preso dalla Nonna Nina, che poi sarebbe la mia bisnonna. Così mi sono appassionata alla storia e ho iniziato a chiedere informazioni a quelli che l’avevano conosciuta. Risulta che io abbia preso di lei tante cose, che ci muoviamo uguale, che abbiamo lo stesso approccio alla vita e le stesse manie. Lei nel 1911 è andata sulle Ande con il marito a cavallo per 4 anni. Così 100 anni dopo ho fatto lo stesso, non a cavallo e senza marito, ma con lei nel cuore.

Progetti futuri

N – Sono curiosa. Cos’hai in progetto per i prossimi mesi?

F – Praticamente devo fare più giri adesso che sono di base a Roma che quando sono in viaggio. Dal 25 al 27 Novembre sarò all’ Eremito per il mio workshop sul travel coaching. È l’8° edizione e ho già tantissime prenotazioni. Poi credo che per capodanno volerò in Sudafrica per la 3° volta consecutiva. Purtroppo ho promesso che avrei voluto vedere il paese in estate e io mantengo sempre le promesse! Lì sto organizzando una cosa davvero nuova per febbraio. Ho disegnato un’esperienza in cui si vede una parte del paese e si fa volontariato, è una mia idea, ho coinvolto persone che ho conosciuto in questi anni, quindi una cosa del tutto unica.

E adesso non ti resta che curiosare sul sito di Francesca Di Pietro.

Chissà che magari non ti venga voglia di partecipare a uno dei suoi workshop, o di progettare il tuo primo viaggio in solitaria.