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Igor Sibaldi e la Metafisica del Niente

Il buon Igor Sibaldi non me ne voglia se, dopo i desideri, ritorno a parlare di lui e, aggiungo il carico da 90, di Metafisica.

Ero in libreria con un’assetata voglia di buona lettura e decisamente inconsapevole di come mi sarei abbeverata.

Una lettura leggera”, ho pensato, “che in questo momento la testa è già fusa per altri affari”.

Giro che ti giro, mi ritrovo con il suo Al di là del deserto tra le mani (sottotitolo Che cos’é la Metafisica e come adoperarla per cambiare vita).

Complice un treno che stavo per prendere, non ci ho pensato a lungo: la mia sete aveva bisogno di questa bevanda metafisica.

Ma come ti viene in mente?

Dirai tu… E naturalmente hai ragione.

Perché è bastato aprire quella prima pagina per rendermi conto che mi stavo imbarcando in un triathlon con il corpo di un’atleta fuori allenamento.

Non ti aspettare perciò una recensione nel senso classico (vabbè, lo so che da me di classico ormai non ti aspetti nulla).

Cercherò in più puntate di estrarre delle pillole che possano far riflettere.

Almeno continuano a far riflettere me.


La storia del gatto Edoardo

Oggi comincerò dalla storia del gatto Edoardo.

Si sa che Sibaldi annovera i nostri animali domestici come dei grandi conoscitori del mondo, esperti di Metafisica senz’altro più di noi. E io in questo ho abbastanza esperienza da dargli ragione.

Ma veniamo alla storia del gatto Edoardo e di come ci mostrerà che la strada verso il nulla è l’unica strada per conoscere se stesse/i.

Edoardo, un bel giorno di primavera, venne portato dai suoi padroni umani a fare un picnic.

Non era mai uscito di casa e perciò per lui sentire i suoni del mondo esterno fu un grande trauma. Percepì odori fortissimi, gli schiamazzi dei bambini, il frastuono delle acque del fiume.

Tutto questo lo disorientò e lo indusse a fuggire.

I padroni umani lo cercarono a lungo ma, a un certo punto, dovettero cedere al fatto di averlo perso. Il gatto Edoardo rimase tutta la notte nel bosco, le sue paure si fecero sempre più angoscianti, i rumori notturni ancora più terrificanti.

Pianse, pianse a lungo e, mentre piangeva, iniziò a camminare.

Camminò sotto la pioggia, camminò lungo la tangenziale, camminò nelle strade della città, camminò sul marciapiede, camminò fin davanti ad un portone.

Aspettò che un umano uscisse da quel portone per “sgattaiolare” dentro, salire le scale e fermarsi davanti allo zerbino di casa sua.

Finché i suoi padroni umani aprirono la porta e furono felici di riabbracciarlo e riaccoglierlo nella loro casa, di cui si sa il gatto Edoardo era il vero padrone.


La strada verso il niente

Scrive Sibaldi: “Ciò che Edoardo sapeva e sa di come si trova la strada di casa era ed è tuttora niente. Si affidò a quel niente e quel niente lo guidò”. *

In effetti esperienze come quella del gatto Edoardo, credo ognuna/o di noi ne abbia.

Spesso mi sono ritrovata in situazioni in cui non c’era ombra di soluzione, in cui la strada davanti era altro che buia, extra dark, con un’angoscia addosso assoluta e quasi pietrificante.

E solo andando, passo dopo per passo, verso quel buio terrificante, sono arrivata oltre.

Tra l’altro sperimentando qualità che non sapevo di avere, quelle che Sibaldi chiama “prodigi” e che affianca ai “miracoli” di Gesù (ma di questo parleremo un’altra volta).

Sibaldi è convinto, e ormai ne sono convinta anch’io, che tutto quello che conosciamo di noi è già passato e, se ci fermiamo a guardare solo questo, rimaniamo imprigionate/i in una vita limitata, senza poter vedere cosa c’è “al di là”, senza poter trovare te stessa/o.

In fondo è la storia di ogni invenzione: “riuscire a fare qualcosa senza sapere come”.

Sembra facile, forse lo è ma io tendo la maggior parte delle volte a capirlo chiaramente con la testa e poi a non riuscire a sperimentarlo.

Sarà paura?

Paura di qualcosa che non conosco?

Poca fiducia nella mia capacità di fare “prodigi”?

Questo davvero non lo so ma, ancora una volta, Igor Sibaldi mi ha dato una spintarella verso il niente.

Metafisica di Igor Sibaldi: andare più in là

Che poi andare verso il niente è proprio bello.

Penso al nostro Giro del Mondo. Quanto ci ho messo prima di realizzarlo veramente!

Tremiladuecentosettanta limiti e tre anni per intuire che erano tutte menate.

Sono partita con la mia bambina assolutamente verso il nulla e ho trovato “al di là del deserto” persone che ci hanno accolto, situazioni al limite del paradiso, incredibili avventure realizzate con una costante sensazione di pace e serenità.

“«Chi pensa più in là»[…] non sa dove andrà: va solo nel niente […], alla scoperta di se stesso, e c’è veramente il caso che, non pensando più come prima, si scopra capace di cose che prima non avrebbe mai creduto di poter fare”.*

E adesso?

Non so a te, ma a me ha messo su una gran voglia di scoprire cosa non credo di poter fare.

Mi ha messo su un enorme desiderio di andare “al di là” del mio deserto ancora una volta.

Del resto se è questa la vita che ho da vivere, voglio viverla al massimo delle mie possibilità, soprattutto se di queste possibilità ne ho sperimentate ancora alcune e non tutte.

Tu non sei curiosa/o di sapere di più di te stessa/o?

Non hai voglia di sperimentare prodigi che vengono fuori da te stessa/o?

Beh, io sì e, sebbene mi renda conto che non è cosa semplice staccarsi dalle proprie abitudini, da quello che di sé si conosce e si è anche con fatica conquistato, non potrei vivere anche un solo giorno sapendo che c’è ancora qualcosa di me che posso scoprire… al di là del deserto.

* citazioni da “Al di là del deserto” di Igor Sibaldi

**tutte le foto sono coperte da copyright

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