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Roma… per me

Quando vivi a lungo in un luogo, in una grande città ancora di più, tendi ad abituartici: abituarti alle strade, ai monumenti, al dialetto, persino al vento, al polline di quella città.

Con Roma non è così, non può accadere, perlomeno non è successo a me.

Sono arrivata qui in un momento in cui volevo cambiare la mia vita.

Ero stanca di Milano sebbene l’avessi amata molto e fossi grata per tutto quello che la nostra città più europea mi avesse dato.

Ma ero stanca, ero stanca di quella pioggia fine e costante, ero stanca di quel senso di non-appartenenza, mi mancava la luce ed ero soprattutto pronta ad un altro capitolo della mia vita.

Come ci sono arrivata

A Roma sono approdata carica di sogni e di aspettative, per lo più disattese.

Non ho trovato quello che desideravo, ho trovato una città che di capitale aveva ben poco, una città profondamente del Sud, disorganizzata, protagonista di scioperi continui, con le sue buche leggendarie (e decisamente reali), con gli uffici comunali intasati, lenti, disarmanti, esattamente come i mezzi di trasporto.

E il mondo del lavoro?

Vecchio, legato ancora al sistema delle “conoscenze”, dell’ “entrare nel giro”. Dovevi esserci nel locale X all’ora dell’aperitivo, a pranzo invece in quell’altro posticino, poi dopo non dimenticare di chiamare quel tizio, sì, che magari “te da ‘na mano”.

Insomma io dovevo lavorare ma così finivo per dilaniare i miei esigui risparmi in aperitivi e cene di beneficienza.

Ohi, Roma mia, mi ero dimenticata di tutto questo nei miei dieci anni milanesi, dove non è tutto perfetto ma, se lavori sodo, le cose le ottieni.

Adesso probabilmente ti starai chiedendo: perché me ne parla se, da come dice, Roma è uno scatafascio?

Foto scattata a Trastevere, così, per caso

Roma mia

A un occhio attento non sarà sfuggito quel “Roma mia” che smaschera un certo tipo di affetto, di quelli che riservi ad una persona di famiglia.

Roma mia, perché, ho finito inevitabilmente per amarla e, quando dico amarla, intendo in maniera viscerale.

Roma con quella “R” che solo chi è di Roma sa pronunciarla bene.

Roma con le sue signore di borgata che te fermano per sapere sempre li cazzi tua.

Roma con la commessa del negozio che a Milano era solo “Buongiorno” e “Buonasera” e qui ci diventi amica.

Roma con quel colore rossastro che te pare d’esse sempre ar tramonto.

Roma cor centro maestoso e a periferia lontana.

Roma sempre piena di turisti che te fa respirà er monno.

Roma che, quando giro in bici a Garbatella, me pare de sta’ in un film degli anni ’60.

Roma col Vaticano onnipresente, che appena ti muovi, è tutto loro.

Roma mia, che è ad uno schioppo dal mare che per me è soffio vitale.

Roma non mi ha dato gloria nè carriera, almeno non ancora, ma mi ha regalato, come dicono

qui, de più.

Il mio Sud

Mi ha riconciliato con la parte del Sud con cui ero ancora in guerra.

Mi ha donato rapporti umani con persone che, e non è retorica, sono tra gli amici che considero più vicini.

Mi ha fatto incontrare mia figlia che oggi ha un accento inconfondibilmente romano (lei la pronuncia bene quella “R”).

Mi ha fatto assaporare il gusto delle passeggiate nei luoghi meno bazzicati dai turisti.

Mi ha ospitato mentre scrivevo Safari. 


Ora io non so se la vita mi porterà altrove o se la mia base resterà qui ma so che a questa città devo l’avermi fatto riappropriare di una parte di me che avevo messo in un angolo angusto con la promessa solenne di non uscirne mai. E invece, mi sento molto più completa insieme a quella parte, in una vita che oggi mira meno alla carriera ma molto, moltissimo, alla sua felicità.

Perché in fondo di lavori ce n’è tanti, ne puoi cambiare molti durante la tua esistenza, ma nessun lavoro, neanche il più bello, il più entusiasmante, il più gratificante, vale la strada verso la tua felicità.

E tu hai un luogo particolare, un posto speciale che hai impresso nel cuore o che ha rappresentato un cambiamento fondamentale per la tua vita?

Se ti va di raccontarmelo, sono tutta orecchie, anzi tutta occhi.

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