Intervista ad Andrea Girardi

Ho avuto l’occasione di “incontrare” virtualmente Andrea Girardi in rete e di scoprirne i suoi lati sfaccettati.

Prima di lasciarti alla sua intervista per poter far conoscere anche a te l’interessante persona che è Andrea Girardi, ti lascio una breve riflessione che mi ha fatto scaturire la chiacchierata con lui.


Le persone forti sono sole?

Lo chiedo a te che sei un’anima al contrario come me e che sicuramente, almeno una volta nella vita, ti sei sentita/o dire: “Ah, ma tu sei forte. Ce la fai”.

Non so a te ma a me questa frase, ascoltata infinite volte, dà la nausea.

Non è che perché siamo forti non siamo umani.

Non è che il forte non soffra, non pianga, non trovi ostacoli sulla sua strada.

Non è che il forte non abbia bisogno di sostegno, di affetto e magari qualche volta di una pacca sulla spalla.

E soprattutto ti è mai venuto in mente che, se si è forti, un motivo ci sarà?

La storia di Andrea Girardi

Oggi ti racconto una storia, una storia preziosa.

Una storia che riguarda un uomo abbastanza conosciuto in rete, Andrea Girardi.

Un uomo molto riservato, si potrebbe anche dire un po’ misterioso.

Uno di quelli che guardi con ammirazione, di cui leggi con attenzione le parole e che percepisci chiaramente come non costruito ma reale.

La sua è la storia di chi si è sentito dire molte volte: “La fai facile tu, sei fortunato. A te va tutto bene. Ci son cose che non puoi capire”. Un forte, per l’appunto. Ma come mi piace sempre sottolineare, innanzitutto un essere umano.

Una persona normale con i suoi fardelli sulle spalle.

Uno che, come quasi tutte/i noi, tante cose non le può capire. Tuttavia, come quasi tutte/i noi, ha avuto una dose sostanziosa di schiaffi dalla vita.

Quindi adesso mettiti comoda/o e sorseggia una storia che, sono certa, ti piacerà molto.

Andrea Girardi e la sua passione per le auto

Andrea Girardi: l’imprinting

“Avevo 5 anni. Ero un bambino timido e per niente avventuroso. Eppure… un po’ incosciente. Il giardino dei miei nonni era su due livelli, con una differenza di circa un metro. Un giorno decisi di prendere la rincorsa con la mia bicicletta e saltare quel dislivello alla massima velocità possibile. Studiai il posto migliore e, forte del fatto che ormai mi avevano tolto le rotelle, scelsi una zona con atterraggio abbastanza morbido, anche se avrei dovuto passare tra due paletti e sotto un’ asta di ferro poco più alta della bici.

Un successo! Fu la prima volta che riuscii a fare qualcosa che mi sembrava impossibile. La prima volta che scoprii di avere la forza di prendere delle decisioni che non pensavo di poter prendere perché troppo “audaci”. E di riuscire a tirar fuori la forza di affrontare quelle cose che oggi chiamiamo sfide.

Negli anni sono tornato lì con la mente. Ogni volta che mi sono trovato di fronte a qualcosa che aveva un forte impatto sulla mia vita o che mi spaventava o mi lasciava un senso di smarrimento, tornavo a quell’attimo prima di cominciare a pedalare con foga in direzione del mio salto.”

L’adolescenza di Andrea Girardi

“Di momenti nei quali mi sono trovato a dover tirar fuori quella forza, sempre senza sapere di averla, ne ho avuti parecchi. Da quando mi sono trovato a 17 anni a dover scegliere se continuare a fare il ragazzino o assumermi delle responsabilità. E la scelta fu improvvisa. Una telefonata mi comunicava che il mio papà non c’era più. Ero abituato a veder sparire le persone della mia famiglia. Nei dieci anni precedenti li persi quasi tutti, ma erano tutti molto “anziani” ai miei occhi di bambino e adolescente. Questa volta invece non lo concepivo. Non lo capivo. E fu tosta, tanto tosta.

Scontrarmi con il mondo degli adulti fu complicato anche perché, i primi con i quali ebbi a che fare, si aspettavano da me quello che avevano visto dagli altri membri della mia famiglia. Ma io non avevo né il carattere, né le competenze, né la maturità di nessuno di loro. Però avevo loro nella memoria e, si sa, si impara per imitazione. In qualche modo trovai la forza di fare. Dove? Non lo so, e so anche che non pensavo ce l’avrei fatta. Solo che non avevo alternative: dovevo farlo.

Tra le tante cose di quegli anni da giovane adulto, ci fu anche la voglia di misurarmi con le gare automobilistiche. Ma senza una guida, senza i soldi necessari e senza conoscenze nell’ambiente. E allora imparai a trovare sponsor, a fare trattative, a interfacciarmi con squali che dirigevano i reparti marketing di grandi aziende, oltre a pilotare (che guidare è un gradino sotto) e nuotare in quel mare di figure a volte poco serie del mondo dei motori.

Anni senza grandi risultati finché un giorno successe qualcosa di diverso: una sfida con i campioni veri in una manifestazione internazionale. E ricordo bene la sera prima, quando un amico di vecchia data mi chiese: “Ma domani?”. Ecco, lì scattò qualcosa che mi fece ritrovare audacia e forza e la mia risposta fu: “Domani vinco”. Vinsi e con un margine incredibile.”

Diventare grandi

“La forza ho dovuto trovarla quando, intorno ai 30 anni, seppi che sarei diventato padre (oh, ci si spaventa quando non si è preparati!). Ma soprattutto la forza ho dovuto trovarla quando, dopo l’ubriacatura di felicità che ne derivò, dovetti sentirmi dire: “Adesso non lo sei più”. Questo credo sia stato il momento in assoluto più difficile di tutta la mia vita. E non passa giorno in cui non rivolga un pensiero a quel bambino che non c’è più. Francamente non ho idea di come abbia fatto a non impazzire e  a superare la cosa, restando calmo e facendo da supporto alla mamma. Insomma a fare le spalle larghe alle quali appoggiarsi.

Ho dovuto “tirar fuori gli attributi” dieci anni dopo. Quella relazione era ormai insostenibile per entrambi e mi sono trovato costretto a chiuderla. A modo mio. Lasciando un’azienda che funzionava, fondi, contatti e abitazione, e accollandomi un mutuo su una proprietà che non sarebbe mai stata mia (mi scocciava che si potesse anche solo pensare “hai lasciato una persona nei problemi”). Insomma dovevo ricostruire tutto da zero e da solo. L’ho fatto ma ho pagato troppo lo sforzo psicofisico dei due anni successivi. E così mi sono trovato in un ospedale con alcuni problemi di vario genere e con un medico che mi diceva “… e poi risolto questo, dobbiamo procedere anche ad eliminare un tumore che non può aspettare”. Ok, era benigno, ma la forza di stare in piedi non credevo di averla.”

Una delle rare foto di Andrea Girardi

Andrea Girardi, oggi

“E sono ancora qui. Nel frattempo mi sono anche innamorato pazzamente di una donna meravigliosa. E di nuovo devo trovare la forza di costruire qualcosa di meglio di quanto abbia mai fatto, lavorando possibilmente molto meno di quanto abbia mai fatto e in modo molto più mirato.

Io non lo so se ho la forza di rimettermi in gioco un’altra volta, ma so che ci metto tutto quello che posso e anche un po’ di più.

Voi che dite, la trovo la forza che serve?”


Questa è la storia di Andrea Girardi (eh già, proprio lui) che ringrazio pubblicamente per avermi donato la possibilità di raccontarla, la sua storia.

Una storia che, come lui stesso dice, lo mette a nudo. E mostra tutte le sfide che ha dovuto affrontare, “che sono anche i momenti nei quali hai bisogno di quel qualcosa in più che non sai mai da dove viene. Sì, perché quando la sfida te la scegli, quando è un tuo obiettivo, allora è un conto.

Il difficile, invece, è quando la sfida arriva dalla vita e non la vorresti proprio affrontare.

Tu che ne dici? La trova la forza che gli serve?


Ti lascio qui di seguito il link al profilo linkedin di Andrea Girardi per approfondire il suo lavoro di HR Executive.

La storia di Lisa Bortolotti

Oggi nella mia rubrica ho un ospite davvero speciale.

Lei è Lisa Bortolotti.

Lunghi capelli rossi, piccola di statura come me e un carattere da far invidia a tanti Golia.

Di solito faccio una piccola premessa per presentare le mie ospiti. Questa volta ho deciso di non dirti nulla, se non: leggi fino in fondo. Non te ne pentirai!

Enjoy!

Lisa Bortolotti
Lisa Bortolotti

Lisa Bortolotti

“Mi sono sempre sentita al contrario sotto vari punti di vista. Per carattere ma anche per le tappe che hanno scandito la mia vita, che si sono concretizzate al di fuori dell’ordine precostituito da questa società. Niente che mi possa rendere più fiera di questo.

Forse oggi ho raggiunto la stessa linea temporale di qualunque altra donna. E sinceramente non so se tutto ciò mi faccia sentire al sicuro o decisamente terrorizzata della vaga possibilità di diventare “normale”. Perché io tanto normale proprio non voglio esserlo.

Stavo in auto con il mio fidanzatino, una vita fa, e mi lamentavo che se avessimo rispettato i tempi e le tappe previste da questa società, una famiglia l’avremmo costruita chissà quando e chissà in che modo: studiare, cercare lavoro, risparmiare denaro, costruire casa, matrimonio, figli, famiglia.

Al tempo quel traguardo, una famiglia mia, lo vedevo lontano anni luce rispetto a quel desiderio che, stranamente, si faceva urgente. L’urgenza del cambiamento, l’urgenza di non voler accettare le regole che altri mi stavano imponendo.

I desideri possono avverarsi

Un detto saggio dice che dobbiamo stare molto attenti a ciò che desideriamo perché potrebbe avverarsi. In quel momento non sapevo di aver attivato, con quel desiderio profondo e intenso, una serie di cambiamenti di portata travolgente per la mia vita.

Di lì a pochi mesi sono stata tuffata in un destino tutto alcontrario, saltando tappe, cambiandone altre, variando obiettivi e girando angoli imprevisti.

Oggi posso dire che tutto questo mi ha salvata da un destino arido e triste.

Le mie tappe tutte all’incontrario mi hanno fatto realizzare in pochi anni ciò che una donna fa durante l’arco di tutta una vita e con un ordine tutto strano.

Ero poco più che ventenne e sono rimasta incinta, mentre ancora frequentavo l’università.

Ricordo chiaramente il ginecologo che, vedendo due giovani al suo cospetto, fece la fatidica domanda “la gravidanza è o non è accettata?”, aspettandosi già la risposta, con quell’espressione sconsolata di chi odia dover intraprendere il percorso di un nuovo aborto. Ricordo di aver pensato “ma che caz.. di domande fa???” e penso di averlo guardato di conseguenza.

Diventare mamma

A 23 anni diventavo mamma, quando ormai in ospedale, di media, le neo mamme al primo figlio avevano la “veneranda” età dei 40 o quasi. Anche in questo ero in controtendenza, come al solito!

Ho imparato a far da mamma strada facendo. Anni dopo ho realizzato l’importanza di questo evento stravolgente: molte pensano che il Principe Azzurro debba essere un marito, ma per me è stato mio figlio che, arrivando, mi ha letteralmente “salvata e strappata” da un copione che odiavo e non volevo recitare.

A tre mesi dal parto ho cambiato casa vivendo un’esperienza unica e di grande accrescimento personale: 12 anni in una casa con altre 8 persone e 5 generazioni sotto lo stesso tetto. Se ne esce profondamente cambiati, con insegnamenti ed esperienze che oggi non si fanno più: pazienza, accoglienza, amore incondizionato, supporto, sorrisi, aiuto reciproco, accettazione. Dodici anni di vita comunitaria: oggi posso parlare di comunità e territori perché in primis l’ho sperimentato su me stessa.

Alcontrario anche i rapporti con i nonni. I miei nonni li ho goduti poco, stupida e inconsapevole adolescente, ma ho avuto il privilegio e l’opportunità di averne di adottivi molto più tardi: i nonni di mio marito sono diventati i miei nonni. Li ho chiamati fin da subito “nonno” e “nonna” e li ho amati immensamente, di quell’amore che non ha bisogno di legami di sangue per nascere e sbocciare. Ho ricevuto nuovi nonni a 23 anni e questo è stato un regalo di cui sono profondamente grata alla mia vita all’incontrario.

La famiglia di Lisa Bortolotti
Le 5 generazioni di Lisa Bortolotti

Mettere attenzione

Non ho aspettato molto dal mio cambio di casa ed è arrivato il matrimonio. Oh, se tornassi indietro metterei più attenzione a quei giorni così frenetici! Ricordo poco. Mio figlio era presente, piccolino e tirato di tutto punto: ancora oggi è un qualcosa di raro, nonostante tutta questa modernità che ci avvolge, avere i propri figli al matrimonio. Quando era ancora piccolino, lui, vedendo i filmini del matrimonio dei genitori di un suo compagno di classe chiese, con tutta l’ingenuità del caso: “ma il mio amico dov’è??”. Ecco, i nostri figli imparano cosa sia “normale” da noi e dall’ambiente che costruiamo loro attorno. Abbiamo questa grande responsabilità.

Ero ancora in fase di apprendimento per le qualità tipicamente materne (che sinceramente non pensavo di avere) che ho dovuto cercare lavoro. Stavo studiando ancora all’università e non avevo molto tempo per preparare quel concorso e sapevo di doverne sostenere molti altri prima di vincerne, forse, uno. Quello era il lavoro perfetto solo per la gioia di papà, ma avevo anche bisogno di lavorare e ho gareggiato. Vinsi.

Il posto fisso

Il primo marzo 2001 iniziavo a lavorare al “posto fisso”. Mio figlio avrebbe compiuto di lì a poco 2 anni. Per mio padre un sogno, per me una gabbia buia e triste: io animo libero e ribelle incastrata nella pubblica amministrazione per necessità.

Lavoravo da pendolare, facevo la mamma e studiavo al pomeriggio. Di quei giorni ricordo solo la fatica e la frustrazione di star poco con il mio bambino. Di lì a un anno mi sono finalmente laureata e per questo devo ringraziare mio marito che mi ha spronata a non mollare mai. Di solito, quando ci si laurea, al massimo hai un fidanzato. Io avevo i suoceri.

Tutto a rovescio.

In questo racconto manca solo la casa, che stavamo costruendo da zero e non ho la più pallida idea di come ci siamo riusciti, tra mancanza di denaro e mezze fregature. Abbiamo imparato molto. Nel 2012, finalmente, ci trasferiamo nella casa nuova, con due figli e non ci facciamo mancare neppure il gatto.

E poi? E poi le tappe sono finite.

Vuoto?

Avevo questa idea vaga che avendo figli grandi quando sarei stata ancora giovane avrei potuto dedicarmi a qualche hobby o nuovo interesse. Sinceramente avevo immaginato di viaggiare, ma il sacro fuoco per il travel, la valigia e l’ignoto ancora non mi è venuto per nulla e continuo a preferire tisana e copertina.

Mentre la mia secondogenita era poco più che in fasce mi sono avvicinata ai temi dell’economia e del monetarismo, soprattutto nelle forme che riguardano la sovranità monetaria e, in seguito, della progettualità territoriale e comunitaria. Ancora una volta una scelta in controtendenza, in un ambiente tutto al maschile e tutt’altro che accogliente e trasparente. Ho combattuto le mie battaglie, a volte contro persone poco oneste. Altre volte con me stessa e i miei limiti, che ho imparato a superare. Ho accumulato esperienza, quella che di solito si fa prima di costruire una famiglia. Di nuovo arrivo dopo, in fretta, ma con tanto slancio e qualche strumento in più che “l’età che avanza” ti mette a disposizione.

No, il club dell’uncinetto proprio non faceva per me

La normalità proprio non fa per me e mi sono messa in testa di costruire qualcosa di mio, che mi dia soddisfazione, che possa unire le mie qualità e talenti personali con l’idea, forse malsana, di far qualcosa di buono per il mondo. Sarebbe un ottimo esempio per i miei figli, che sono abbastanza grandi per comprendere una delle lezioni più importanti nella vita: ‘segui i tuoi sogni’.

Mentre inizio a costruire tutti i sogni che voglio immaginare, sono certa di una cosa: che il modo in cui realizzerò i miei nuovi sogni sarà tutto alcontrario!

Ho ancora una vita intera per stravolgere di nuovo tutte le tappe che mi aspettano. Ma questa volta non solo cambierò l’ordine degli addendi. Deciderò io anche quale direzione prendere!

Ode ai nuovi inizi, purché comincino in disordine!”


Ringrazio Lisa Bortolotti per la sua bellissima storia.

Se anche tu vuoi essere protagonista della mia rubrica, clicca su Unadonnaalcontrariochiamagentealcontrario e scopri com’è facile partecipare.

Liberi di credere di Mariantonietta Nania

Era da tempo che volevo scrivere un post sul mondo arabo, un post naturalmente “alcontrario”.

E mi è venuto in aiuto un libro: Liberi di credere.

Non perché voglia necessariamente essere al contrario in tutto ma perché, nel modo in cui i media negli ultimi anni ci raccontano l’Islam, sento una strana interferenza, una di quelle vibrazioni negative che mi spinge a cercare risposte altrove.

Poi accade che nei meandri del web incroci una donna con cui senti subito affinità.

Questa donna, Mariantonietta Nania, ha scritto un libro, una storia che è il racconto di un grande amore tra due persone e nella quale io ho letto prevalentemente il racconto dell’amore infinito per i luoghi in cui la storia è ambientata, per la gente che li popola, per gli odori, per i colori di quei luoghi.

Liberi di credere di Mariantonietta Nania

Ho acquistato subito il suo libro “Liberi di credere”.

Mi sono immersa in quei luoghi e ho lasciato che tutte le informazioni ricevute fino ad allora dall’esterno scomparissero, perlomeno finché stavo tra quelle pagine.

Così e solo così ho trovato le risposte che cercavo.

Ed è a questo punto che ho capito che non potevo essere io a raccontarti di questo mondo a me sconosciuto.

Ho chiesto a Mariantonietta Nania di farlo per me e per te che stai leggendo.

Perciò adesso ti lascio alle sue parole e al mondo magico in cui sarai catapultata/o.

Mariantonietta Nania
Mariantonietta Nania

Mariantonietta Nania

“Sono felice ogni volta che posso parlare di Egitto perché ho la sensazione che le mie parole siano in grado di evocarlo e di renderlo reale per come l’ho conosciuto e amato.

Purtroppo recentemente se ne sente parlare spesso, come di un paese in balia del suo destino, da evitare, da condannare, un mostro. Il mondo arabo islamico incute timore.

E io, che l’Egitto lo amo, soffro.

Ci arrivai una ventina di anni fa con una borsa di studio offerta dal Governo egiziano tramite il Ministero degli Affari Esteri. Dopo la laurea in pedagogia a indirizzo psicosociologico richiesi e ottenni la borsa per portare avanti la ricerca del dipartimento di Psicologia Sociale sulle fiabe. Più precisamente sul parallelo tra le fiabe arabe e quelle europee.

Appena misi piede a terra, dopo il volo, capii che nella fiaba ci stavo entrando io. Nonostante lo smog, nonostante il traffico, nonostante l’abisso che c’era tra la cittadina da cui arrivavo (tra Umbria e Toscana, in una verdissima valle circondata da verdissime colline) e il dorato deserto che tutto avvolgeva.

Il Cairo: una bolgia

Traffico disordinato, rumorosissimo a ogni ora del giorno e della notte. Milioni di abitanti ammassati e mal distribuiti tra palazzi lussuosissimi, e polverose aiuole spartitraffico. Limousine e macchinoni con autista a fianco di carretti trainati da asinelli. Asfalti quasi liquefatti dal sole e strade sterrate tra i grattacieli, percorse da greggi di pecore. La monumentale Città dei Morti, popolata dai vivi come un qualsiasi pullulante quartiere, la montagna di spazzatura su cui vivono e creano gli zabbali. Le moschee dagli altissimi minareti, i clacson feroci, le migliaia di voci, il moezin che chiama alla preghiera. Quante contraddizioni in questa città, quanti campioni della nostra variegata umanità. Ci vuole un po’ prima di adattarsi ai ritmi degli egiziani. Ritmi lenti, lentissimi, nonostante il caos frenetico, e incerti. I negozi, gli uffici pubblici, non hanno un orario fisso di apertura e chiusura. Gli appuntamenti non hanno valore, non sono impegni, nemmeno se sono di lavoro. I tempi degli spostamenti in città non sono calcolabili né prevedibili. L’intero cosmo ruota e scorre intorno all’eternità che trasudano le piramidi di Giza, lentamente, schiamazzando ma senza la fretta che attanaglia noi. La metropoli si espande, morde il deserto che la circonda, colora il cielo delle sue luci arancio e viola e la notte non arriva mai. I coffe shop profumano di tabacco alla mela e il lieve fumo bianco dei narghilè rende l’atmosfera fatua, mentre il Nilo scorre lento e scuro sotto enormi ponti lambendo le case-barca, i battelli e le feluche”.

Mariantonietta Nania duna
Foto di Mariantonietta alle sue dune

Mai così libera

Non mi sono mai sentita così libera come al Cairo. Libera di uscire diretta in un posto e di non arrivarci mai, catturata da mille altre strade sconosciute e piene di colore; libera di vestirmi senza abbinare colori e accessori, libera dalle mode, libera di fare rumore, di vivere con pochi spiccioli in tasca, libera di sorridere a donne e bambini pur senza parlare la loro lingua, di bere tè con loro per strada, libera di professare la mia Fede (cristiana cattolica) e sentire la complicità di chi con coerenza professava la propria, quella islamica. Mi sono sentita libera di uscire a qualsiasi ora, anche di notte, sapendo che ovunque avrei trovato un taxi pronto a portarmi dove volevo e persone gentili, ospitali e accoglienti che hanno sempre fatto di tutto per offrirmi il meglio che il loro paese possiede.

Sì, amo l’Egitto, e non lo amo perché è perfetto o senza difetti, no, l’amore non funziona così. L’Egitto di difetti ne ha tanti perché non è solo dorato deserto, piramidi, oasi e acque cristalline: è fatto di persone, e le persone sono imperfette, come siamo noi, che ci sentiamo spesso superiori e migliori degli altri. Siamo solo diversi. Noi (e per “noi” intendo quelle come me e Noemi) amiamo viaggiare perché per camminare sulle strade del mondo non si può stare sul piedistallo, si deve scendere e alzare la polvere. Solo così si impara che le differenze ci arricchiscono e che la varietà ci fa crescere”.

Viaggiare con la fantasia

E quando non possono viaggiare con le gambe, quelle come noi, viaggiano con la fantasia, tengono vivi i ricordi e combattono la nostalgia impastando parole e sentimenti. Dai miei impasti è nato “Liberi di credere. Storia di acqua e deserto”, un romanzo che ha dato nuova vita all’amore per l’Egitto e per me stessa e ha addolcito la nostalgia perché mi ha permesso di condividerla. Quelle come noi scrivono per condividere e sono felice che Noemi mi abbia dato la possibilità di farlo in questo spazio. Grazie a chi, giunto a questo punto, avrà sulle labbra un sorriso e negli occhi un’impalpabile duna addormentata sotto la luna.

Mariantonietta Nania”


Se sei un po’ come noi che “amiamo scendere per strada e alzare la polvere”, che amiamo viaggiare con le nostre imperfezioni, se ami l’Egitto e i suoi profumi di mela e narghilè, ti consiglio vivamente di leggere il suo libro.

Mammayoga risponde

Quando mammayoga mi ha regalato la sua recensione di Safari, mi ha fatto sentire come chi vince un premio ambito.

Mi aveva dimostrato che Safari non era stato scritto invano e che forse davvero ero riuscita nel mio intento. Poi però qualche giorno dopo, sempre lei, imperterrita, mi ha scritto un’email, molto personale, chiedendomi di partecipare alla rubrica Unadonnaalcontrario chiama gentealcontrario.

E io non ho potuto non dedicarle la rubrica di questo mese.

Sembrerà autoreferenziale ma in verità la pubblico per mostrare il punto di vista di chi non mi conosce se non attraverso la rete e che, su una fiducia basata su “non so che”, ha avuto la voglia di leggere il mio piccolo racconto e farlo suo.

Ecco perciò le sue parole.

In fondo trovi le domande, devo dire, mooolto personali e le mie risposte altrettanto intime.

Mammayoga con Safari

Mammayoga

“Ci sono storie che leggi, ti piacciono, ma poi finisce lì. Ce ne sono altre che leggi, ti piacciono, ma poi fanno molto di più. Eh sì… prima di andarsene da te e prima che tu ti decida a lasciarle andare -con quel pizzico di malinconia che ti coglie nel voltare l’ultima pagina- riconosci che sono storie che in qualche modo sono state capaci di sfiorarti, di dirti qualcosa che a te interessa sul serio.

È un po’ come con le persone che incontri: gli amici, gli amori, i colleghi. Con alcuni scatta qualcosa, con altri proprio non scatta… te ne fai una ragione. Hai presente quando non senti il tempo che scorre? Stai lì e ci stai bene, va tutto bene così. Attimi speciali. In quel momento non sei mosso dall’inquietudine di fare altro. E questa cosa a me succede con alcuni particolari incontri oppure da sola, quando per esempio sto in mezzo alla natura. E mi è successa con il tuo libro. Proprio così. Per questo ho sentito l’esigenza di scrivere di Safari appena l’ho concluso.

Avrei tante domande da farti, Noemi, ma sono anche dell’idea che non tutte le curiosità debbano essere colmate. È come con le poesie e con i testi delle canzoni che amo. Penso subito a De Gregori e a quante volte ho cercato di leggere dietro ai suoi versi, sforzandomi di capire esattamente cosa volesse dire. Tanto abituata a parafrasare che m’incaponivo nel dettaglio. Ma poi mi sono arresa. La bellezza di un testo sta nelle sensazioni, nell’incompreso, nel dubbio; non per forza deve tornarti sempre tutto come in calcolo matematico. C’è un universo, quello dell’autore, che penso debba essere custodito. Lui ti dà qualcosa, lasciando andare un po’ di sé. Ogni lettore ha l’opportunità di cogliere quel fiore ma la radice non gli appartiene, quella va lasciata alla terra.

E allora, Noemi, ho deciso di non fartele tutte le domane che avevo in testa, ma giusto qualcuna. So che mi risponderai al tuo modo da donnaalcontrario, in libertà e senza imposizione alcuna. Come piace a me! Grazie!”

Ed eccole qui le domande di Mammayoga e le mie risposte:

Verità

  • M: Verità. C’è del vero nelle tue righe, questo si avverte forte sin da subito, c’è un percorso che non può non appartenere se non a chi ha scritto il libro, per quanto sicuramente tu ti sia ispirata a storie che vanno anche al di là della tua esperienza personale. È così?”.
  • N: Giuro di dire la verità, nient’altro che la verità, lo giuro: no, a parte gli scherzi (ho sempre sognato di poter dire questa frase), Lisa è un mix di molte donne che hanno attraversato la mia vita. Tra queste donne ci sono naturalmente anche io, c’è anche la mia esperienza di vita, che non è stata esattamente “semplice” ma, come giustamente dici tu, alcune cose vanno custodite dentro di sé, rimanendo nel mondo del “non detto”. In fondo non credo serva sempre conoscere i dettagli ma la trasformazione che una persona fa per cambiare dentro e fuori, quella sì che è importante perché noi siamo tutte/i diverse/i, il nostro bagaglio di vita è diverso, solo la decisione di cambiare e il percorso che da lì viene fuori è veramente significativo.

Il viaggio interiore

  • M: Il viaggio interiore. Il viaggio di cui parli è un viaggio anche e soprattutto alla scoperta di sé, a recuperare la propria verità, condizione essenziale per essere felici, per sentirsi vivi. Via i condizionamenti, le paure, le percezioni distorte della realtà. A volte basta cambiare prospettiva per osservare il mondo con occhi nuovi e questo Lisa lo dimostra ripetutamente nel romanzo. Mi piacerebbe chiederti qualcosa sul buddhismo e quanto questo c’entri con il tuo percorso spirituale.”.
  • N: Il Buddismo accompagna la mia vita da 19 anni ed è effettivamente stato fondamentale nella mia rivoluzione personale. Mi ricordo che quando ho letto le prime pagine di un testo buddista, ho pensato “Ecco, finalmente, sono tornata a casa”. Ritrovavo me stessa in quelle parole, in quegli insegnamenti: la possibilità di cambiare qualunque condizione, anche la più complicata; la comprensione profonda che tutto dipende da te e non da qualcosa di esterno a te; la potenzialità infinita che risiede dentro gli esseri viventi. Naturalmente è un percorso, non sono arrivata in nessun eremo felice. Vivo nella quotidianità, cercando di mettere in pratica quello che imparo, fallendo il più delle volte, alzandomi da terra quando cado e collegandomi a tutto ciò che mi circonda perché so che non esiste felicità se non nella condivisione: io sono felice se anche chi è intorno a me lo è.

Il viaggio fisico

  • M: “Il viaggio fisico. Sei riuscita a portare il lettore in giro per il mondo. Sembrava di essere lì, di osservare la natura con Lisa, di perdersi nella bellezza dei luoghi descritti, di ascoltare le colonne sonore in macchina con lei. A quali luoghi descritti sei più legata e perché?”.
  • N: Per questa domanda ti ringrazio particolarmente. In tanti mi chiedono come ho fatto a descrivere così dettagliatamente luoghi che non ho mai visitato di persona. E non sai quanto mi riempia di gioia questa cosa. Io posso solo rispondere così: probabilmente è il mio amore infinito per il viaggio. Viaggiare mi appassiona come poche cose al mondo, mi fa “respirare” a pieni polmoni. Nella mia vita ho visitato l’Africa, molta parte dell’Europa, l’Indocina. Si sa che amo moltissimo New York e la sua energia vitale. Però tu mi fai una domanda specifica: a quale dei luoghi visitati da Lisa sono più legata ed io ti rispondo che in ognuno di essi, lei fa un profondo cambiamento, un passetto verso la sua felicità, ma alle Hawaii lei fa uno scatto di mille miglia in avanti e probabilmente il momento in cui si trova a Big Island, davanti al cratere fumante di Kilauea è il momento che mi ha penetrato la pelle.

La protagonista

  • M: Lisa, la protagonista. Sono certa che il personaggio di Lisa piaccia molto e possa essere anche fonte di ispirazione per alcune donne. Io per esempio mi sono ritrovata a invidiare il suo coraggio, la sua tenacia, la sua ostinazione a rispondere a se stessa e basta. C’è qualcosa che ha Lisa e che manca a Noemi? E quanto di Noemi c’è in Lisa?”.
  • N: Noemi è determinata e fragile come Lisa. Forse a Lisa invidio il coraggio di essere andata fino in fondo. Ma ci sto arrivando anch’io.

Ecco tutto. Mi sento un po’ più “svestita” dopo queste domande di Mammayoga ma sono qui, sinceramente, così come sono.

E adesso, se ti va, tocca a te: se vuoi essere la prossima protagonista della mia rubrica, qui di seguito trovi il riepilogo su come partecipare. Aspetto la tua storia.

Grazie infinite di esserci!

Rubrica unadonnaalcontrario chiama gentealcontrario

Eleonora Magon chiama Unadonnaalcontrario

Quando ho pensato per la prima volta a questa rubrica, ho provato a immaginare le persone che stavano al di là dello schermo.

Ero curiosa e mi piaceva l’idea di aprirmi a un mondo fino ad allora solo percepito ma tendenzialmente conosciuto.

Mai mi sarei immaginata quanto grande sarebbe stato il beneficio di fare entrare quelle persone nella mia vita virtuale.

Mai avrei immaginato le storie che avrebbero attraversato queste righe.

È il primo post che scrivo con la nuova veste di Unadonnaalcontrario, e sono felice di inaugurarlo così, perché l’email che mi è arrivata qualche giorno fa è davvero speciale.

Eccola qui.

La storia di Eleonora Magon

“Ciao, mi chiamo Eleonora Magon,

ti ho conosciuta tramite la mia ricerca di blogger per fare rete, per collaborare, perché credo che solo così si possa andare lontano.

Mi hai proposto tu questa bellissima occasione per presentarmi e per farti domande.

Inizio con il dirti che il nome del tuo blog è per me quasi autobiografico, mi ritrovo spesso alcontrario, a volte sottosopra, a volte fuori luogo, a volte fuori tempo!

Eleonora Magon

Di me c’è da dire tanto, mi sono reinventata come donna mille volte, un po’ per ambizioni personali ma spesso per batoste date dalla vita. L’ultima mia trasformazione è in corso da un mese quando ho scoperto di avere un tumore al seno. Sono mamma di due cuccioli voluti fortemente, moglie di un paziente marito, pittrice e blogger da pochissimo.

Di te conosco poco, ho iniziato a leggere i tuoi articoli e li trovo di un mix fondamentale per inchiodare i lettori fino alla fine, sono interessanti ed ironici.

Tu sei scrittrice vero?

Il blog è nato per cosa? E il nome come lo hai scelto?

Io sono affascinata dai viaggi ma per troppi motivi non ne ho fatti abbastanza, e forse mai li farò, qual è il tuo viaggio del cuore?

Per adesso io consigli non ne ho, ma posso solo dirti che essere alcontrario mi piace in me ma soprattutto negli altri, trovo ci sia una marcia in più, che sia anche solo affascinante sentirli raccontare le loro esperienze al contrario. L’ultima volta che mi sono sentita al contrario è stato poco più di un anno fa quando ho scelto di partorire in casa il mio secondo bimbo.

Grazie per avermi dato questo spazio.

Eleonora Magon

Grazie, Eleonora Magon

Innanzitutto dico a te, grazie, Eleonora per esserti aperta, anche su aspetti così intimi che riguardano non soltanto il tuo corpo di donna ma anche la tua parte interiore.

Anche io come te mi sento il più delle volte “sottosopra, fuori luogo, fuori tempo”.

Mi chiedi come ho scelto questo nome: alcontrario è come mi sono sentita da che ne ho un ricordo, quella diversa, quella che non è mai al posto giusto nel momento giusto. Insomma la famosa pecora nera.

Che poi io personalmente se vedo una pecora grigetta o nera in mezzo a un branco di pecore “bianco-sporco”, le trovo molto più carine.

Il blog è nato per arrivare a tutte quelle persone che, come noi, si sentono alcontrario, o meglio persone che altre persone fanno sentire alcontrario.

Noi, come dici tu, abbiamo una marcia in più e ce lo dobbiamo riconoscere, anche con un blog, condividendo le nostre esperienze.

Il libro

Non mi sento esattamente una scrittrice.

Sì, è vero, ho scritto un libro, un bimbo speciale per me, con una storia dentro che mi tocca dal profondo e, a quanto pare dalle recensioni, arriva anche al cuore di chi legge.

A Safari ho dato tutta me stessa e continuerò a farlo finché non arriverà nelle mani di tutte le persone che vorrebbero agire coraggiosamente in direzione della loro felicità ma non ci riescono ancora, forse perché hanno bisogno di una piccola spinta.

Ecco, Safari, spero sia quella spinta.

In alcuni casi lo è già stato, come quando una mia amica mi ha raccontato che sua mamma, una donna che non legge mai, ha letto Safari tutto d’un fiato e ha deciso di andare da sola in crociera: una donna grande che non ha mai viaggiato da sola e a cui non piace leggere.

Qualche volta i miracoli accadono.

I viaggi

A proposito di viaggi, mi chiedi qual è stato il mio viaggio del cuore. Posso dirti che amo andare spesso a New York perché lì mi sento a casa, ma ho amato follemente il Kenya e il Myanmar.

Viaggiare mi apre l’anima, mi fa sentire viva, mi fa letteralmente respirare.

E ti svelo un piccolo segreto: sto progettando proprio in questi giorni un viaggio importante per me. Ma per adesso è ancora top-secret.

Chiudo qui ma consentimi di dedicare a te e chi sta leggendo una poesia, una poesia che è parte del mio DNA.

Probabilmente, vista la meravigliosa vita che, nonostante le difficoltà, ti sei riuscita a creare, non ne avrai bisogno come me almeno una volta al giorno, ma voglio dedicartela perché credo che ognuna di noi sia legata da un filo impercettibile e perché credo che questo viaggio, ovunque tu desideri (in un luogo vicino, in un paese lontano o dentro di te), tu voglia farlo e io ti auguro di farlo.

Un abbraccio, come dice mia figlia, “grande come l’universo”.

Rotola i dati – Charles Bukowski

“Rotola i dadi.

Se vuoi provarci,

fallo fino in fondo.

Altrimenti non iniziare.

Se vuoi provarci,

fallo fino in fondo.

Ciò potrebbe significare

perdere ragazze, mogli,

parenti, lavori

e forse la tua mente.

Fallo fino in fondo.

Potrebbe significare

non mangiare per 3 o 4 giorni,

potrebbe significare

gelare in una panchina nel parco,

potrebbe voler dire prigione,

potrebbe voler dire derisione,

scherno, isolamento.

L’isolamento è il regalo.

Tutti gli altri sono

per te una prova della tua resistenza,

di quanto realmente desideri farlo.

E lo farai,

nonostante il rifiuto

e le peggiori avversità.

E sarà meglio di qualsiasi altra cosa

tu possa immaginare.

Se vuoi provarci,

fallo fino in fondo,

non ci sono altre sensazioni

come questa.

Sarai solo con gli dei

e le notti

arderanno tra le fiamme.

Fallo.

Fallo.

Fallo.

Fino in fondo.

Fino in fondo.

Guiderai la vita fino alla

risata perfetta.

È l’unico buon combattimento che c’è”.

Charles Bukowski