La metafora del viaggio, metafora della vita

Mettimi un piedino su un aereo e sono una donna felice.

Sarà che quando ero piccola era così difficile viaggiare, forse anche a causa delle mie esigue finanze, forse perché non sono mai stata fuori dall’Italia prima di essere diventata adulta.

I motivi possono essere molteplici ma una cosa è certa: io adoro viaggiare.

Forse saprai che la parola Safari, che è anche il titolo del mio libro, in lingua swahili vuol dire viaggio, ma non tutti sanno che il suo significato completo è viaggio lungo attorno ad un punto.  

Angkor Wat
Il viaggio della vita: La bellezza di Angkor Wat

Metafora del viaggio

Una vera e propria metafora della vita, non credi?

In fondo noi nasciamo in un dato luogo, da dati genitori con dati fratelli, sorelle, zii, nonni, e poi viaggiamo verso la scuola, verso gli amici, l’università, il lavoro, i colleghi, i mariti o le mogli, i figli, gli hobby, etc.

Da quel punto partiamo e a quel punto torniamo sempre.

E allora perché andare verso paesi sconosciuti se tutto parte e torna qui?

A questo punto credo intervenga la propria storia personale.

Sì, perché io non voglio insegnare niente a nessuno, posso parlare solo per me e dare un contributo, per chi desidera ascoltare, con quello che ho vissuto personalmente.

Ho sempre invidiato le persone che stanno bene lì, dove si trovano.

Tranquille, pacifiche e soprattutto soddisfatte.

Io invece volevo andare via, voglio ancora andare via.

Guardarmi intorno, conoscere, vagliare opportunità, considerare novità continuamente: questo è il mio bisogno di sempre.

Ancora oggi, appena tocco terra straniera, mi entusiasmo come una bambina con gli occhioni sbarrati quando scopre un gioco nuovo.  

Il viaggio inteso come metafora della vita

In questo senso mi posso definire bulimica del viaggio.

In certi momenti penso che non avere avuto abbastanza soldi sia stato un limite perché avrei sicuramente viaggiato di più.

Adesso, per esempio, non scriverei dalle quattro mura di casa mia ma magari da un cottage di Bali con vista di palme da cocco e risaie a terrazza.

Ok, ok, torniamo qui che la mia testa era già altrove.

In realtà credo che non avere avuto tanti soldi, nella maggior parte dei casi, sia stata una fortuna.

Viaggiare con poco mi ha “costretto” a dormire lontana dai resort turistici, a mangiare in bettole dal gusto locale, a sedermi a fianco alla gente del posto, a provare a capire qualcosina del paese che in quel momento mi ospitava.

Non so se è stata solo fortuna ma io non mi sono mai ammalata, sfatando i miti di tutte le guide che ti mettono l’ansia su ogni genere di malattia sconosciuta.

Non voglio dire che bisogna affidarsi al caso o essere ingenui ma posso dire con certezza che, sebbene io non abbia né uno stomaco né una salute di ferro, ho avuto più mal di pancia e influenze in Italia che in giro per il mondo.  

Qui aprirei un’altra parentesi (e non lo farò) sul fatto che io somatizzo qualunque cosa e che ormai da tempo so che quando sono felice, non mi ammalo.

E quando viaggio, io sono felice. L’avevo già detto?  

Viaggio Boa Vista
Viaggio metafora della vita

Conoscere meglio quello che ho a casa

Credo che per me andare via voglia dire conoscere meglio quello che ho a casa, la mia famiglia, il mio paese, la tradizione, il modo di lavorare, di fare scuola, tutto quello che è la società in sé.

Andarmene per vedere le cose vicine da una prospettiva diversa, un pochino più lontana.

Aiutarmi a capire cosa c’è che mi piace qui e che voglio tenere così com’è.

E magari trovare, entrando in contatto con un’altra cultura, un altro modo di pensare, di vivere, il modo di cambiare quello che proprio non mi va giù di quest’Italia talmente splendida eppure così in degrado.  

E per te invece qual è il significato del viaggio e se anche per te ha un significato metaforico?

Se ti va, raccontamelo in un commento!

L’importanza di dire No!

Perché è importante dire di NO soprattutto se non sappiamo come dire No?

E come iniziare a dire no, se per vari motivi, per la nostra esperienza di vita, siamo state abituate/i a dire sempre di Sì?

In questo articolo metto nero su bianco una riflessione che viene dalla mia esperienza personale, perché io ero una che non sapeva dire di No, che non aveva la minima idea di quanto grande fosse il potere di dire No.

E soprattutto che non aveva capito quanto l’assertività, quanto dire di no senza sentirsi in colpa fosse sano per la propria vita.

Mi auguro che queste mie parole possano servire a te che mi leggi al di là di questo schermo se anche tu sei una persona che non sa dire No.

Saper dire di No
Foto by Pexel di George Becker

Quelle volte che ho detto No

Le volte che non ho detto di NO solo perché lo volevano gli altri, perché avevo paura del loro giudizio.

Quelle volte che, secondo “gli altri”, chiudevo la mia vita e invece la stavo aprendo, molto più di quanto avessi mai fatto prima.

La stavo aprendo a me, stavo dicendo alla mia vita: sì, ti seguo!

E lei era felice, finalmente felice.

Non esiste solo una prospettiva, un solo modo di fare le cose, una sola visione delle cose.

Io sono io e ho faticato, soprattutto con me stessa, per conoscermi, per vedermi, per accettarmi ed essere fiera di chi sono.

E là fuori è pieno di persone diverse che spesso non conoscono quella diversità e che si lasciano omologare, diventano generici, come altri mille, dieci mila.

Impara a dire di No per la tua felicità

Non è una critica a quei dieci mila, è soltanto che bisogna andare verso la propria felicità e la tua felicità la conosci solo tu, solo tu.

Dimentica che ci sia qualcuno che possa capirti.

C’è sicuramente qualcuno che può farlo ma, aspettando di trovarlo, rimani in prigione.

La prigione è quel lavoro che tu dai mille e ricevi uno, quel rapporto che tenti di cambiare e ti metti in discussione dalla mattina alla sera ma non cambia mai.

La prigione è ripeterti che devi avere pazienza e che, prima o poi, avrai qualcosa di meglio.

La prigione siamo per primi noi, che ci raccontiamo menate travestite da favole.

La chiave per uscire dalle sbarre è spesso riuscire a vedere questo, aprire gli occhi e guardare quello che abbiamo fatto della nostra vita.

Non è coraggio, è disperazione. Una disperazione sana che ti fa finalmente infilare quella chiave nella serratura e uscire dalla gabbia.

Hai mai visto gli animali in uno zoo? Una volta ho visto due lupi in una gabbia grande quanto il mio soggiorno e i lupi andare avanti e indietro, avanti e indietro, lungo il recinto.

Parlo di quella disperazione, avanti e indietro, avanti e indietro.

Come la conosco bene!

Finché non arriva il tempo che te lo sbrani quel recinto e quando sei fuori, hai tutta la tua vita che inizia in quell’istante.

Quelle volte che ho detto di NO… sono le volte che ho fatto felice la mia vita.

Tatuaggio? Ma che sei matta?

Qualche anno fa, e con “qualche” sto mentendo spudoratamente perché intendo parecchie stagioni or sono, incontrai sulla mia strada, o meglio su un set, un interessante esemplare di maschio adulto.

Ne ho incontrati tanti di esemplari, ma questo era davvero carino, dolce, un pò orsacchiotto.

Che te lo dico a fare, mi ero presa una bella cotta!

Il tal ragazzo, un discreto artista, si offrì con grande entusiasmo di disegnare per me un tatuaggio.

E ne parlò a lungo, per tutta la durata del lavoro, ma il lavoro finì. Di lavori ce ne furono altri, e altri di set ma del disegno nessuna traccia.

Non nego che sul momento ‘sta cosa mi fece rosicare’.

In fondo era stato lui a proporsi, mica gliel’avevo chiesto io… e giù con i discorsoni sulla coerenza, sulle parole dette e non mantenute, una vera e propria pippa mentale… ma si sa a vent’anni di pippe se ne hanno molte (seeeeee, perché adesso no, eh?!).

Un tatuaggio che solo io avrei potuto disegnare

Gli anni, come dicevo, sono passati ma l’idea del tatuaggio ogni tanto riemergeva.

Finché l’anno scorso mi ronzava per la mente un disegno che sarebbe stato perfetto per me e che solo io avrei potuto disegnare.

Te l’ho detto che non credo al caso, vero?

Beh, un bel giorno di Novembre in una delle chat di whatsapp (da cui di solito scappo per via di quei bip ripetuti all’infinito, ma quella è una delle mie preferite) mi arriva questo messaggio:

“Ragazzi approfitto di questo canale di comunicazione per fare un piccolo un annuncio… sono finalmente pronta, prontissima per tatuare!!! Chiunque volesse farsi scarabocchiare un po’ mi contatti…”.

Io ho questa qualità, e me la riconosco, che quando sento di potermi fidare di qualcuno, non lascio che il dubbio mi offuschi questa certezza.

Elena, la ragazza che aveva scritto il messaggio, non la conoscevo benissimo.

Per la verità l’avevo vista qualche volta e non ci avevo scambiato molte parole. Ma ero certa che fosse lei quella giusta.

C’erano tutte le condizioni: avevo chiaro il disegno, avevo la tatuatrice e, cosa non da poco, mi sentivo pronta per questo passo (capirai…mica mi dovevo sposare…).

Un solo incontro per conoscerci e per mostrarmi l’attrezzatura (confesso, volevo controllare l’igiene, ma il mio istinto non si era sbagliato: Elena è superattentaprecisapulita) e l’8 Gennaio, qualche giorno dopo il mio compleanno, avevo il tatuaggio sulla mia spalla destra.

Nessun dolore da cui in tanti mi avevano messo in guardia.

Veloce rimarginamento grazie anche alla mia bio-vasellina (vedi post sullo spignatto).

E soprattutto la sensazione chiarissima che adesso il mio corpo fosse completo.

Era così che doveva essere da sempre.

Insomma una gran figata.

Il mio tatuaggio

E cosa c’è di “al contrario”?

Tu dirai, vabbè, ma i tatuaggi se li fanno in tanti. Che c’è di davvero al contrario?

Ed è qui che entra in gioco il tormentone della mia vita.

Ladies and gentlemen, ecco a voi… le critiche gratuite.

E non parlo di quelle più comuni come “il tatuaggio non lo cancelli più”, “è volgare”, “non è femminile” che ovviamente ci sono state e che tra l’altro non condivido affatto. A me il tatuaggio sembra così sexy!

Parlo di una in particolare, la più bella. Ringrazio ancora la persona che me l’ha rivolta.

“Alla tua età vuoi fare la pischella, con la frangia e il tatuaggio!”.

Ringrazio non perché mi ha già messo un piede nella tomba con quel “alla tua età”, ma perché mi ha fatto ripensare a quel ragazzo e al fatto che, se avessi accettato di farmi tatuare il suo disegno, avrei sul mio corpo un marchio indelebile del suo modo di vedermi, quello di un uomo che ho incontrato nella mia vita in non più di 3 o 4 occasioni, che ha detto di voler fare una cosa e poi non l’ha fatta (la categoria di persone che più non sopporto) e che non ho più rivisto da allora.

Il disegno che ho sulla spalla destra non avrei potuto disegnarlo a 23 anni perché non c’era ancora stata l’esperienza più eccitante della mia vita che adesso porto sulla mia pelle, non c’era stata quell’emozione e non c’era stata la rinascita dovuta a quel momento, grazie ai cavalli.

E soprattutto non lo avrei disegnato io, ma avrei permesso a un’altra persona di decidere per me.

Ancora una volta.

È questo che quelle critiche pensavano di fare: decidere per me. Ancora una volta.

E tu? C’è una critica che hai ricevuto e in qualche modo ti ha ostacolato nel realizzare un tuo desiderio? Se ti va, scrivimelo in un commento.