Gli indispensabili per un RWT – Parte 1

E dopo il rientro dal nostro viaggio itinerante per la Sicilia, ci si organizza per il “viaggione”.

Non ti dico quante cose ho ancora da definire, alcuni visti, l’assicurazione sanitaria, un’idea di luoghi che voglio visitare. Per fortuna giorno dopo giorno, questo viaggio prende sempre più forma e io non vedo l’ora di mettere il mio piede sul primo aereo.

Nel post di oggi e in quello di domani ti racconterò cosa abbiamo deciso di portare in viaggio con noi: quelli che io e la mia socia abbiamo definito gli “indispensabili per un RWT” e che, forse, possono essere utili consigli di viaggio per chi è in procinto di farne uno anche solo di qualche giorno da qualche parte nel mondo.

Io perlomeno, quando sto per partire, sto ore e ore sul web alla ricerca di consigli che si sposino con le mie esigenze e per questo mi sembrava carino e soprattutto “utile” condividere con te quello che ho trovato e ho scelto per noi, gente al contrario.

Perciò ecco a te gli INDISPENSABILI per un RWT alcontrario.

La Chat Sim

Questa devi proprio segnartela perché è una chicca che ti sarà utilissima in ogni parte del mondo.

Si chiama Chat Sim ed è una SIM internazionale da inserire nel tuo smartphone che ti consentirà di mandare messaggi di testo ed emoji connettendosi alle più famose App di Instant Messaging, come WhatsApp e Messenger, senza alcun costo di roaming. Tutto questo in maniera illimitata e a soli 12€ per 1 anno intero.

Tra l’altro con l’acquisto di crediti si possono anche inviare e ricevere foto, video, messaggi vocali, condividere la posizione o contatti.

Con i nonni che vanno in ansia facilmente, direi che è stata la scelta migliore.

Chat sim Gli INDISPENSABILI per un RWT
Chat Sim

Gli accessori glamour

Io sono una affezionata di Vendula London. Così pensando al fatto che avremmo camminato tanto, che non sempre avremmo avuto voglia di portarci dietro gli zaini, e che poi in fondo ogni tanto vorremmo fare le glamour girls (ahahah), abbiamo optato per le loro Mini Bag.

Tra l’altro, oltre ad essere deliziose, ci permettono di portare in giro solo il necessario: passaporti, tessere della Metro, fazzolettini, etc.

La mia socia la sta già utilizzando: non è riuscita ad aspettare fino a settembre e io mi sto trattenendo ma non so se ce la farò, eheh!

Vendula london Gli INDISPENSABILI per un RWT
Vendula mini bag
Il retro della MINI BAG della mia socia
Vendula mini bag french bulldog
Il retro della mia Mini BAG

Le mitiche Lonely Planet

Dove vado se la Lonely non ho dietro?

È proprio così. Le Lonely Planet sono le guide che preferisco. Sono le stesse che ha portato Lisa in viaggio con sé nel suo Safari.

A parte gli scherzi, credo che ognuno debba poter consultare le guide.

Non importa quali siano le tue preferite. Che siano in formato elettronico (sicuramente più leggere) o cartacee (come preferisco io perché ho la mania di prendere gli appunti), le guide ti permettono di farti un’idea del paese che si desidera visitare, degli usi e dei luoghi di interesse, oltre a darti tante info utili. Perciò non dimenticare di passare in libreria prima del tuo viaggio.

Gli INDISPENSABILI per un RWT Lonely Planet

Diari di viaggio

Io poi amo molto leggere i diari di viaggio che si trovano online. Mi fanno vivere le emozioni di chi li scrive e mi fido molto di più dei loro consigli sui viaggi fai da te che di quelli dei guru del travel.

Per oggi è tutto. Domani ti parlerò di altri 3 indispensabili per il giro del mondo.

Se hai curiosità che io ometto solamente perché non ci penso, please, scrivimelo in un commento. Ti risponderò senz’altro.

A domani, Anima al contrario!

Intervista a Francesca Di Pietro

Sono giorni che l’autunno bussa alla porta e lo fa con scrosci di pioggia.

Freddo gelido una mattina e caldo umido la mattina dopo. Roba che il cambio di stagione non so ancora se farlo o no.

Questo è il momento per me di mettere nuova legna sul fuoco e di solito la mia legna preferita è progettare un nuovo viaggio.

Forse per questo, forse perché l’ammiro molto, forse perché non riesco a resistere alla sua riccia chioma scarlatta, ho voluto fortemente intervistare la donna che ha fatto del viaggiare da soli la sua strada della vita, passando dal lavoro di psicologa a quella di travel-coach.

Lei si chiama Francesca Di Pietro, ha visitato 66 paesi, ha scritto un libro che risponde a molte domande sul viaggio in solitaria. Il tutto con una gran dose di ironia effervescente che è l’ingrediente magico per la vita di noi, animealcontrario.

Goditi l’intervista, entrate nel mondo di Francesca e tenetevi libere/i per i suoi progetti futuri.

Enjoy!

Francesca Di Pietro

N – Per rompere il ghiaccio, ci racconti chi è Francesca?

F – Wow! Quante ore hai perché ti risponda? Francesca è una ragazza molto riflessiva, o forse dovrei dire che si fa tante “pippe mentali” ed è per questo che sono brava a spezzettare, analizzare, meta leggere tutto! E ne ho fatto un lavoro.

N – Com’è che, ad un certo punto della tua vita, hai deciso di fare un salto quantico trasformando la tua professione di psicologa in travel coach?

F – Ho ascoltato quello che mi dicevano tutti: “devi fare la psicologa dei viaggi”. Ecco l’ho fatto! Prima mi occupavo di formazione comportamentale dell’adulto, diciamo che continuo a farlo. Ma ho cambiato il luogo ed invece che rendere una persona migliore nel lavoro mi piace pensare che la rendo migliore nella vita.

Francesca Di Pietro
Francesca a Broken Sea (Nusa Penida)

La figura del Travel Coach

N – A proposito, cos’è un travel coach e perché può fare la differenza nell’organizzazione di un viaggio in solitaria?

Il travel coaching è una metodologia che trasforma il viaggio in un processo di crescita. Quando viaggiamo da soli è tutto amplificato, ogni sensazione e ogni emozione è più forte. Noi siamo nudi e come tali più propensi al cambiamento perché non abbiamo appigli, porti o alibi ai quali appoggiarci.

F – Se ti fa piacere, raccontaci quella storia di tua nonna che attraversò le Ande nel 1911 e del tuo legame con questo evento.

Certo che te lo racconto, ci ho anche scritto un post! La storia parte dai miei capelli, io sono rossa, la mia famiglia è molto mediterranea. Sono nata a Napoli ed ero diciamo l’unica rossa, il che non ti rende l’adolescenza una cosa facile. Quando da bambina chiesi come mai io non assomigliavo ai miei genitori e a differenza di loro ero molto chiara, mi risposero che avevo preso dalla Nonna Nina, che poi sarebbe la mia bisnonna. Così mi sono appassionata alla storia e ho iniziato a chiedere informazioni a quelli che l’avevano conosciuta. Risulta che io abbia preso di lei tante cose, che ci muoviamo uguale, che abbiamo lo stesso approccio alla vita e le stesse manie. Lei nel 1911 è andata sulle Ande con il marito a cavallo per 4 anni. Così 100 anni dopo ho fatto lo stesso, non a cavallo e senza marito, ma con lei nel cuore.

Progetti futuri

N – Sono curiosa. Cos’hai in progetto per i prossimi mesi?

F – Praticamente devo fare più giri adesso che sono di base a Roma che quando sono in viaggio. Dal 25 al 27 Novembre sarò all’ Eremito per il mio workshop sul travel coaching. È l’8° edizione e ho già tantissime prenotazioni. Poi credo che per capodanno volerò in Sudafrica per la 3° volta consecutiva. Purtroppo ho promesso che avrei voluto vedere il paese in estate e io mantengo sempre le promesse! Lì sto organizzando una cosa davvero nuova per febbraio. Ho disegnato un’esperienza in cui si vede una parte del paese e si fa volontariato, è una mia idea, ho coinvolto persone che ho conosciuto in questi anni, quindi una cosa del tutto unica.

E adesso non ti resta che curiosare sul sito di Francesca Di Pietro.

Chissà che magari non ti venga voglia di partecipare a uno dei suoi workshop, o di progettare il tuo primo viaggio in solitaria.

La metafora del viaggio, metafora della vita

Mettimi un piedino su un aereo e sono una donna felice.

Sarà che quando ero piccola era così difficile viaggiare, forse anche a causa delle mie esigue finanze, forse perché non sono mai stata fuori dall’Italia prima di essere diventata adulta.

I motivi possono essere molteplici ma una cosa è certa: io adoro viaggiare.

Forse saprai che la parola Safari, che è anche il titolo del mio libro, in lingua swahili vuol dire viaggio, ma non tutti sanno che il suo significato completo è viaggio lungo attorno ad un punto.  

Angkor Wat
Il viaggio della vita: La bellezza di Angkor Wat

Metafora del viaggio

Una vera e propria metafora della vita, non credi?

In fondo noi nasciamo in un dato luogo, da dati genitori con dati fratelli, sorelle, zii, nonni, e poi viaggiamo verso la scuola, verso gli amici, l’università, il lavoro, i colleghi, i mariti o le mogli, i figli, gli hobby, etc.

Da quel punto partiamo e a quel punto torniamo sempre.

E allora perché andare verso paesi sconosciuti se tutto parte e torna qui?

A questo punto credo intervenga la propria storia personale.

Sì, perché io non voglio insegnare niente a nessuno, posso parlare solo per me e dare un contributo, per chi desidera ascoltare, con quello che ho vissuto personalmente.

Ho sempre invidiato le persone che stanno bene lì, dove si trovano.

Tranquille, pacifiche e soprattutto soddisfatte.

Io invece volevo andare via, voglio ancora andare via.

Guardarmi intorno, conoscere, vagliare opportunità, considerare novità continuamente: questo è il mio bisogno di sempre.

Ancora oggi, appena tocco terra straniera, mi entusiasmo come una bambina con gli occhioni sbarrati quando scopre un gioco nuovo.  

Il viaggio inteso come metafora della vita

In questo senso mi posso definire bulimica del viaggio.

In certi momenti penso che non avere avuto abbastanza soldi sia stato un limite perché avrei sicuramente viaggiato di più.

Adesso, per esempio, non scriverei dalle quattro mura di casa mia ma magari da un cottage di Bali con vista di palme da cocco e risaie a terrazza.

Ok, ok, torniamo qui che la mia testa era già altrove.

In realtà credo che non avere avuto tanti soldi, nella maggior parte dei casi, sia stata una fortuna.

Viaggiare con poco mi ha “costretto” a dormire lontana dai resort turistici, a mangiare in bettole dal gusto locale, a sedermi a fianco alla gente del posto, a provare a capire qualcosina del paese che in quel momento mi ospitava.

Non so se è stata solo fortuna ma io non mi sono mai ammalata, sfatando i miti di tutte le guide che ti mettono l’ansia su ogni genere di malattia sconosciuta.

Non voglio dire che bisogna affidarsi al caso o essere ingenui ma posso dire con certezza che, sebbene io non abbia né uno stomaco né una salute di ferro, ho avuto più mal di pancia e influenze in Italia che in giro per il mondo.  

Qui aprirei un’altra parentesi (e non lo farò) sul fatto che io somatizzo qualunque cosa e che ormai da tempo so che quando sono felice, non mi ammalo.

E quando viaggio, io sono felice. L’avevo già detto?  

Viaggio Boa Vista
Viaggio metafora della vita

Conoscere meglio quello che ho a casa

Credo che per me andare via voglia dire conoscere meglio quello che ho a casa, la mia famiglia, il mio paese, la tradizione, il modo di lavorare, di fare scuola, tutto quello che è la società in sé.

Andarmene per vedere le cose vicine da una prospettiva diversa, un pochino più lontana.

Aiutarmi a capire cosa c’è che mi piace qui e che voglio tenere così com’è.

E magari trovare, entrando in contatto con un’altra cultura, un altro modo di pensare, di vivere, il modo di cambiare quello che proprio non mi va giù di quest’Italia talmente splendida eppure così in degrado.  

E per te invece qual è il significato del viaggio e se anche per te ha un significato metaforico?

Se ti va, raccontamelo in un commento!

La chiamavano newyorkite

World trade center New york city

Oggi ti parlo di una strana malattia: la newyorkite.

Se la hai anche tu, e secondo me se sei capitata qui, probabilmente è così, continua a leggere.

Correva l’anno 1994.

Danny, Doris e Leroy, fedeli compagni del post-liceo, nel mio telefilm preferito: FAME.

La vera protagonista di quella serie non era però un’attrice.

Era una città, oserei dire, la città, un luogo che ai miei occhi di adolescente sognatrice sembrava quasi irreale, come il regno di OZ, la città dove tutto è possibile: New York City.

A quei tempi New York era lontanissima per me. I costi degli aerei erano esorbitanti.

Ma lei continuava ad essere la Star di altre serie tv (Friends, Sex and the City) e di grandi film (Carlito’s way, Do the right thing, C’era una volta in America, Harry ti presento Sally, Wall Street, Vanilla Sky e la lunga lista dei film di Woody Allen).

Il giorno in cui, ormai trentenne, uscivo dalla subway newyorkese e, con la testa all’insù e la bocca spalancata vedevo i grattacieli per la prima volta, non lo dimenticherò mai.

Era come se in quella città ci fossi vissuta da sempre.

Dentro il vagone della metro verso Brooklyn, noi unici bianchi come in un film di Spike Lee.

L’attesa dei maratoneti a Central Park con, in mano, il beverone bollente (non ne avevo mai capito l’utilità), perfetto scaldino nei giorni gelidi.

La vista di Manhattan al tramonto dallo Staten Island Ferry, il traghetto arancione più famoso del cinema.

Fermami perché potrei proseguire per ore e ore e soltanto chi soffre della stessa malattia, la newyorkite per l’appunto (e ce ne sono tanti), potrebbe non annoiarsi.

Qui invece vorrei raccontarti del perché un bel giorno incontrai un poliziotto che mi disse: -“There’re a lot of good guys in New York!”-.

New York dal Top of The Rock newyorkite

Una storia newyorkese

Era il mio secondo viaggio nella City, con la mia migliore amica… e meno male che c’era lei!

Il giorno dopo il nostro arrivo, complice la distrazione da jet-lag, in metro mi rubano lo zaino con dentro: portafogli, documenti (passaporto incluso), un paio di Rayban (che non erano importanti come il resto ma ci tenevo parecchio) e un brownie di Fat Witch appena preso al Chelsea Market (che pure quello mi rodeva un po’).

Panico!

In USA, senza un soldo, passaporto, né carte di credito.

Per fortuna avevo il cellulare in tasca e ho potuto bloccare subito le carte ma, da quel momento, è iniziata una giornata che definire tragicomica è riduttivo.

La guardiola della metro dice che lì non ci sono telecamere (Ehhhhhh? A New York, in metropolitana non ci sono telecamere???? Ma di che sta parlando?).

Ci manda all’ufficio Lost&Found, e da qui a un ufficio di polizia in un’altra stazione della metro.

L’agente, che non ho ancora capito se mi stava bellamente prendendo in giro, mi dice: -“Il passaporto è una cosa seria – (ma va?!?) – Sai per il terrorismo”-.

Aiuto!!!!!!!!!!!!!!

Dice che ci dobbiamo rivolgere a un detective e ci manda, ebbene sì, a un’Accademia di Polizia.

Sì, proprio come quella dei film demenziali, con i cadetti che si allenano davanti ai nostri occhi.

Arriviamo nell’ufficio del detective e la situazione mi ha fatto rimpiangere i nostri uffici pubblici.

Non avevano neanche internet. Alla fine ho preso le pagine gialle e gli ho chiesto: -“Mi dite dove devo andare?”-.

Ci mandano, sì, stai ascoltando proprio bene, al palazzo dell’ONU perché, secondo loro, lì dentro, avremmo potuto parlare con qualcuno del consolato italiano.

E secondo te, cos’è successo appena arrivate davanti al famoso palazzo di vetro? Due guardie si catapultano di corsa per sbarrarci la strada.

Newyorkite: una storia tragicomica

Lo so, lo so, stai ridendo a crepapelle.

E ti assicuro che anche noi, nonostante la paura della terrorista che viaggiava sotto la mia identità, non sapevamo se ridere o piangere.

Ancora una volta ci mandano in un ufficio sbagliato, una specie di rappresentanza italiana.

Lì ci parla da un vetro un carabiniere italiano, di quelli che vedi solo nelle parate. Alto, moro, bello: mai visto uno così in Italia.

Sente che siamo italiane e ci apre la porta e io (te lo giuro, io sono una che non ama molto il contatto fisico) me lo sono letteralmente abbracciato. Volevo piangere tra le sue forti braccia e farmi salvare come le principesse nelle favole della Disney.

Usciamo da lì un po’ più tranquille (si fa per dire – ero sempre senza soldi e senza documenti a migliaia di km da casa): l’adone in divisa ci consiglia di andare l’indomani mattina all’ambasciata italiana “che sicuramente loro risolveranno”.

“There’re a lot of good guys in New York!”

Ed è proprio a questo punto della storia che incontriamo il poliziotto di cui ti parlavo prima. E quella frase -“A New York ci sono tanti bravi ragazzi”- me la ricorderò per sempre.

Io e la mia amica determinatissima e anch’ella affetta da newyorkite cronica, dopo una puntatina al centro buddista di Union Square (che ormai le avevamo provate tutte, potevamo non tentare la chance della preghiera?), torniamo a casa.

Mi collego al wi-fi e leggo un’email che, tradotta, fa un po’ così:

Ciao, se sei Noemi, un mio collega ha trovato il tuo portafogli. Per favore, contattami per trovare una soluzione. Io sono a Manhattan. E tu? C’è una ricevuta di airbnb per via …… a Brooklyn. Possiamo incontrarci alla metro X davanti all’entrata del treno C alle 21,45. Ti va bene?

Mi va bene?????????

Alle 21,45 di quel funambolico giorno, J.S., un vero good guy newyorkese, si presenta a due passi da casa con il mio portafogli, tutti i documenti e le carte di credito.

Non c’erano i dollari, lo zaino e gli occhiali (e nemmeno il brownie ahimè!) ma il nostro viaggio è tornato ad essere la vacanza spensierata di due grandi amiche.

Lasciami dire solo questo:

Grazie Sister, Grazie J.S.!

Grazie New York, grazie New Yorkers!